art.1105 cod.civ., condominio minimo e lavori straordinari

L’art. 1105 cod.civ. si applica ove i componenti di un c.d. condominio minimo non raggiungano unanimità di decisione in ordine alle opere necessarie alla manutenzione del fabbricato e il provvedimento può essere adottato anche per interventi di straordinaria manutenzione.

E’ quanto ha stabilito un recente decreto del Tribunale apuano (Trib. Massa 28 gennaio 2019), su istanza di un condomino che – proprietario di unità immobiliare posta in un condominio di soli due componenti – vedeva l’opposizione dell’altro condomino ad ogni decisione in ordine alla manutenzione del tetto.

Espletata CTU, è risultato che il tetto necessitava di significativi ed indispensabili interventi di ripristino, ordinati dal Tribunale che ha ritenuto che la norma in tema di comunione possa consentire anche pronunce su interventi che esulano dalla ordinaria amministrazione.

VG1105.

 

contestazione del verbale di assemblea ed onere della prova

Un condomino, presente in assemblea, afferma di essersi allontanato prima della votazione – circostanza che non risulta dal verbale, ove invece si afferma che costui avrebbe votato a favore della delibera – e pertanto impugna la delibera.

Ciò avviene diversi mesi dopo, poiché anche l’invio del verbale – a detta del condomino – è stato incompleto e la copia inviata dall’amministratore non avrebbe compreso la parte dedicata alle presenze.

Il caso è affrontato da una recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 5 novembre 2018), ove si richiama un costante orientale to di legittimità, che pone a carico di colui che intende contestare la verbalizzazione l’onere di provare l’asserito diverso svolgimento dei fatti:

Tuttavia tali mezzi non si sono rivelati utili a provare i  fatti  costitutivi  della  domanda,  onere che incombeva all’attore ex art 2697 comma I c.c.

Fra tali oneri deve comprendersi anche quanto si deduce essere difforme dal verbale (ex multis Cassazione civile, sez. VI, 11/08/2017, n. 20069),  circostanza  che poi si riverbera necessariamente sia sulla tempestività della impugnazione così come sui motivi di doglianza… di talché – in assenza di prova puntuale sul punto – deve farsi fede a quanto riportato nel verbale.

Quanto testè esposto dirime anche la questione circa la tempestività della impugnazione che, in quanto volta a far rilevare il proprio voto contrario, va ricondotta al termine di cui all’art. 1137 c.c., che per il condomino presente decorre dal giorno della riunione.

Del tutto non provato appare, in ogni caso,  anche  il  dedotto  lacunoso  invio  del  verbale (che di per sé non attesta l’assenza del C., essendo stato provato per testi che l’invio a  tutti costituisce prassi in quel condominio) poiché l’unico  teste  che  riferisce  che  nella  busta ricevuta dall’attore non vi erano tutti i fogli è il  nipote  che,  a  fronte  di  tanta  sicumera sul contenuto del plico, non è poi in grado  di  precisare  neanche  il  numero dei fogli ivi contenuti, sì che la dichiarazione  deve  ritenersi  inidonea  a  provare  quanto  dedotto dall’attore e, dunque, l’azione risulterebbe intempestiva anche rispetto  a  tale evento.

Ne deriva che – non risultando provata nè tempestività né legittimazione all’intimazione (conseguente all’assenza o al voto contrario), la domanda deve essere respinta.

Domanda che peraltro risulta del tutto inconferente anche nel merito: l’erronea verbalizzazione non integra, in sé, vizio del relativo deliberato ove non sia  a  sua  volta  indice di voti erroneamente attribuiti o di maggioranze non idonee, tutti elementi  che l’attore non ha minimamente dedotto.

L’intera impugnativa deduce un vizio di nullità/annullabilità poiché nel verbale non sarebbe menzionata la circostanza che l’attore non era presente alla votazione,  senza dedurre però alcuno specifico vizio della delibera (diverso dalla erronea imputazione di voto).

Poiché non è consentito al Giudice ex art 112 c.p.c. esaminare profili diversi da quelli specificamente dedotti (Cassazione civile, sez. VI, 25/06/2018, n. 16675), la domanda dell’attore sarebbe comunque destituita di fondamento nel merito – poiché anche a voler ritenere provata la sua mancata votazione e sussistente la sua legittimazione ad impugnare – non sono stati dedotti vizi specifici della delibera (che con riguardo ai punti 1 e 2, anche dedotto il valore millesimale  del  C.,  raggiunge  comunque  i  quorum  previsti dall’art. 1136 c.c. e, quanto al punto 3    lavori  straordinari,  si  tratta  di  delibera non suscettibile  di  autonoma  impugnativa,  trattandosi  di  mera  decisione  interlocutoria  in cui non viene assunto uno specifico onere di spesa, che viene rimesso a successiva decisione).

Tantomeno appaiono conferenti i vizi formali rilevati, posto che l’indicazione dei presenti e dei votanti (anche nella sintetica forma all’unanimità, laddove i partecipanti siano nominativamente indicati in apertura del verbale) consente pieno controllo sulla legittimità del voto (Cassazione civile, sez. II, 23/09/2016, n. 18754)”

© massimo ginesi 12 novembre 2018

impugnazione di delibera ed interesse ad agire

E’ noto che, ancor prima di verificare se sussistano gli elementi costitutivi della domanda, il giudice debba verificare se sussiste interesse della parte ad agire ai sensi dell’art. 100 c.p.c., ovvero se sussista un interesse oggettivamente valutabile della parte ad ottenere tutela processuale con riguardo alla situazione dedotta in giudizio.

Con particolare riferimento alla impugnativa di delibere annullabili, si ritiene pacificamente che l’adozione da parte del condominio di nuova decisione sul punto controverso – dopo la proposizione della domanda  -comporti cessazione della materia del contendere, mentre è plausibile ritenere che – ove la delibera venga assunta prima che il condomino proponga impugnativa – sussista carenza di interesse ad agire nei riguardi di un atto viziato e già sanato (o sostituito da altro legittimo).

Trib. Massa 21 settembre 2018 n. 651  affronta il tema con riferimento alla impugnativa di delibera relativa alla nomina di amministratore,  assunta pacificamente con maggioranze inidonee ex art 1136 comma II c.c.

L’immotivata resistenza del condominio nella lite e la mancata adesione alla mediazione comportano condanna del convenuto per lite temerararia e al versamento di somma pari al contributo unificato in favore dell’erario.

Nella sentenza si osserva “ Risulta pacifico fra le parti che in assemblea successiva a quella oggetto di impugnativa l’amministratore sia stato ritualmente nominato, così come risulta per tabulas che all’assemblea del 30.1.2014, oggetto della odierna impugnativa, costui fosse stato nominato con una maggioranza inferiore al valore millesimale prescritto dall’art 1136 comma II c.c.

Ne consegue che quel deliberato era annullabile  ed impugnabile dai dissenzienti e dagli assenti (tra cui l’attrice) nel termine di trenta giorni ai sensi dell’art. 1137 c.c.

Se l’assemblea successiva, che legittimamente intervenga sul punto oggetto di doglianza, è certamente idonea a far cessare la materia del contendere, lasciando impregiudicato l’aspetto della c.d. soccombenza virtuale nella causa medio tempore promossa, non può non ritenersi che la stessa sia idonea ad incidere sull’interesse ad agire ex art 100 c.p.c. come sostiene parte convenuta, salvo che la delibera intervenga prima della promozione del giudizio, evenienza non riconducibile al caso in esame.

Nessun rilievo può avere, sotto tale profilo, la circostanza che la domanda sia stata proposta una volta ricevuto l’avviso di convocazione della successiva assemblea, evento che non contiene alcun elemento idoneo a far cessare la materia di contesa, ben potendo la successiva riunione non costituirsi, non deliberare legittimamente e rimanendo comunque impregiudicato il diritto e l’interesse del condomino a far accertare in sede giudiziale l’annullabilità della delibera assunta con maggioranze inferiori a quelle di legge, onde non far consolidare deliberati viziati e ciò  fino a quando tale delibera non sia sostituita da un atto legittimo di identico rilievo…

Non vi è invece alcun dubbio che costituisca interesse del condomino veder annullata la delibera viziata di nomina dell’amministratore, in quanto atto idoneo ad incidere sul suo rapporto con il Condominio (Cass. civ. sez. VI, 10/05/2013,  n. 11214).

Va osservato dunque che, al momento della sua proposizione, la domanda di parte attrice si prefigurava legittima e suscettibile di essere accolta, di talchè, secondo il principio della soccombenza virtuale, le spese devono essere poste a carico di parte convenuta; tenuto conto della sostanziale modestia del contendere, della pacificità e scarsa complessità delle questioni giuridiche affrontate e della lieve attività istruttoria svolta,  vengono liquidate secondo i valori minimi di scaglione e applicata la diminuzione del 30% per assenza di specifiche questioni di fatto e diritto, ex art. 4, comma 4 D.M. 55/2014 .

Deve ancora rilevarsi come il condominio abbia pervicacemente resistito in controversia di rilievo bagatellare ed abbia anche rifiutato di proseguire nella mediazione, come risulta dal verbale 30 luglio 2015 prodotto in atti, circostanze che – anche alla luce della pacificità dei diritti controversi secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità –  comportano condanna ex art. 96 comma III c.p.c. (che si stima equo commisurare in misura prossima alla metà delle spese liquidate)  ex art. 8, comma 4 bis, D.Lgs. n. 28/2010.”

© massimo ginesi 25 settembre 2018

il termine concesso dal giudice per l’esperimento della mediazione non è reiterabile

Ove il giudice, rilevato che si tratta di materia sottoposta a procedimento obbligatorio di mediazione, abbia concesso alle parti termine per darvi corso, non potrà reiterarsi tale  facoltà ove le parti siano rimaste colpevolmente  inerti.

Si tratta di principio pacifico in giurisprudenza, riaffermato in recente sentenza del Tribunale di Massa 20 luglio 2018 n. 546.

Tribunale_massa_20luglio2018

copyright massimo ginesi 10 settembre 2018 

se il provvedimento cautelare è stato eseguito non è ammessa sospensione in sede di reclamo.

un interessante provvedimento del  Tribunale Massa 1 agosto 2018 (est. Maddaleni) definisce l’ambito del potere di intervento del Presidente del collegio in ordine alla sospensione dell’efficacia del provvedimento cautelare oggetto di reclamo.

La pronuncia è cristallina e non richiede ulteriore commento:

“Poiché la misura inibitoria prevista dall’art. 669 terdecies, comma 6, c.p.c. è connotata dalla precipua funzione di impedire l’esecuzione del provvedimento reso in prime cure e impugnato con il reclamo cautelare, è inammissibile l’istanza di sospensione dell’esecuzione del provvedimento concessivo di una misura cautelare investito del reclamo, qualora il provvedimento della cui sospensione si tratta sia stato eseguito, risultando, in tal caso, la misura interinale invocata priva di concreto significato né potendosi, peraltro verso, ordinare la remissione in pristino di ciò che è stato eseguito, non potendosi ricavare dalla citata disposizione la sussistenza in capo al giudice di un siffatto potere conformativo.

Argomenti di ordine letterale e sistematico militano a sostegno della prospettazione ricostruttiva secondo cui, con la locuzione “motivi sopravvenuti”, contenuta nell’art. 669 terdecies, comma 6, c.p.c., il legislatore abbia inteso postulare il riferimento a motivi radicati su fatti successivi all’adozione del provvedimento investito del reclamo. 
Quanto all’argomento letterale, l’adozione del sintagma “motivi sopravvenuti” in luogo di altri, quali “motivi nuovi” o “motivi non in precedenza valutati”, è indice della volontà dei compilatori di radicare il potere presidenziale di sospensione del provvedimento oggetto di reclamo, in via esclusiva, ai motivi fondati su fatti verificatisi successivamente all’adozione del provvedimento reclamato.
Per quanto concerne il dato sistematico, poiché il subprocedimento che conduce all’adozione della misura inibitoria de qua deroga a due principi generali sui quali è imperniato il modello del procedimento cautelare uniforme – id est l’immediata esecutività dei provvedimenti cautelari, per loro stessa natura urgenti, nonché la collegialità della decisione sul reclamo – tale fase incidentale non può risolversi in un improprio vaglio anticipato circa la correttezza del provvedimento impugnato, ontologicamente rimesso al collegio, ma si connota, piuttosto, per l’apprezzamento di una situazione di urgenza, derivante da fatti sopravvenuti alla decisione gravata, incompatibile con i tempi necessari per la definizione del reclamo.”

© massimo ginesi 6 settembre 2018

 

abbattimento barriere architettoniche e tutela del diritto di proprietà

L’abbattimento delle barriere architettoniche è attività favorita dalla legge anche in condominio, dapprima con a L. 13/1989 e poi con una lettura giurisprudenziale che ha a lungo sottolineato come tali iniziative siano volte ad attuare la funzione sociale della proprietà prevista dall’art. 42 Cost.

In realtà tale favore (che il legislatore del 2012 nel novellare l’art. 1120 cod.civ. ha ridotto, aumentando i relativi quorum deliberativi) va contemperato con la tutela del diritto dei proprietari (ergo, dei condomini), che hanno comunque diritto di precludere l’installazione ove la stessa violi il disposto dell’art. 1120 u.c. cod.civ.

Ne deriva che se da un lato il diritto di proprietà  potrà subire una compressione  a fronte di uno scopo nobile come l’abbattimento delle barriere architettoniche, non sussiste affatto un diritto assoluto del disabile all’installazione di strumenti atti a migliorare la sua mobilità, sì che il giudice è tenuto a contemperare le due esigenze contrapposte con una lettura costituzionalmente orientata

E’ quanto emerge da un recente provvedimento Trib. Massa 6 giugno 2018 reso a conclusione di un procedimento ex art 702 bis c.p.c.

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 27 marzo 2018

Ritenuto che, con riguardo al petitum principale di cui al ricorso introduttivo, sia cessata la materia di contesa per ammissione della stessa attrice, posto che il condominio ha deliberato – in data successiva alla introduzione della causa – di non frapporre ostacoli all’installazione dell’ascensore.

Ritenuto tuttavia che debbano essere respinte le altre domande avanzate da parte attrice, per le ragioni che seguono.

Quanto alla richiesta di risarcimento del danno ex art 2043 e 2059 c.c., essa appare del tutto nuova ed avanzata solo all’udienza del 27 marzo 2018, come tale tardiva e inammissibile, posto che la sommarietà del rito non vale a mutare i principi generali delineati dall’art. 163 c.p.c., espressamente richiamato dall’art. 702 bis c.p.c.,di talchè si dovrà comunque ritenere vietata la mutatio libelli; a tal proposito il combinato disposto dagli artt. 702 bis e 702 ter c.p.c. indica un iter procedurale che non prevede momenti ulteriori, rispetto alla introduzione della domanda, in cui si possano o debbano precisare le conclusioni, posto che per la natura del rito e l’assenza di necessità istruttorie, la causa va in decisione (salvo la sussistenza di domande riconvenzionali e chiamateincausa)sugliassuntiinizialidelleparti;l’informalità individuata dall’art. 703 comma V c.p.c., che appare riferirsi unicamente al rito e alle attività istruttorie, appare inidonea a superare i parametri preclusivi che valgono nel rito ordinario circa l’integrazione e la modifica delle domande.

Allo stesso modo appare del tutto inammissibile la richiesta di condanna ex art 96 I comma c.p.c. poiché non è dato ravvisare alcuna posizione processuale ostativa o temeraria in colui che non si è costituito in giudizio, mentre – in forza di quanto si esporrà di seguito – non paiono ravvisabili neanche i presupposti per irrogare la condanna (ascrivibile ai c.d. indennizzi punitivi) ex art 96 III comma c.p.c.

Cessata la materia del contendere sulla installazione dell’ascensore, la ricorrente chiede di valutare la soccombenza virtuale del convenuto, onde ottenere condanna dello stesso alla refusione delle spese di questo giudizio, sull’assunto di una condotta ostativa del condominio che avrebbe gravemente violato e compromesso diritti costituzionalmente garantiti.

Tuttavia tale raffigurazione non può essere condivisa, così come non può ritenersi – dalla disamina delle delibere condominiali prodotte dalla stessa ricorrente – che la condotta del condominio abbia assunto valenza meramente ostruzionistica e defatigatoria.

Va infatti rilevato che, se da un lato i principi costituzionali espressi dagli artt. 32 e42 della carta fondamentale tutelano la salute e sottolineano la funzione sociale della proprietà, lo stabilire i modi in cui tale funzione potrà essere assolta è stato demandato dal legislatore costituzionale alla legge.

Al riguardo il testo di riferimento è senza dubbio la L. 13/1989 e, assai meno, il novellato art. 1120 c.c. che – rispetto a principi di rilevanza costituzionale, quali la tutela della salute e la solidarietà sociale, dei quali l’abbattimento delle barriere architettoniche rappresenta certamente un aspetto rilevante – ha inopinatamente innalzato nuovamente i quorum deliberativi per le innovazioni che perseguono tali fini, con ciò evidenziando una concorrente e rinnovata tutela anche del diritto dominicale.

Con riferimento all’odierno contendere non può inoltre dimenticarsi che – pur adottando una lettura ampia e guardando con maggior favore alle iniziative volte a predisporre meccanismi agevolativi per i disabili – lo stesso legislatore del 1989 ha finito per porre un limite assai prosaico ai dichiarati e perseguiti scopi sociali, mantenendo ferma l’applicabilità dell’art. 1120 comma IV c.c. con riferimento alle innovazioni vietate, sì che – infine – le esigenze di tutela sociale delle persone svantaggiate sotto il profilo motorio finisce per doversi confrontare sullo stesso piano con i parametri di tutela della proprietà (decoro architettonico dell’edificio, pari uso dei condomini, inviolabilità del diritto dominicale dei singoli), cedendo il passo ove tali valori – assolutamente privatistici e scevri di ogni connotazione solidaristica – ne risultino lesi.

Di talché non sussiste affatto un diritto assoluto e preminente del disabile ad installare in condominio strumenti di ausilio, sussistendo eventualmente una pretesa, da valutare in ottica ampia e alla luce dei principi costituzionali e primari sopra ricordati, e da raffrontare con i parimenti legittimi diritti (anch’essi costituzionalmente garantiti) dei singoli condomini titolari dei correlativi diritti reali.

In una lettura del diritto di proprietà costituzionalmente orientata, ai sensi dell’art. 42 Cost., volta a contemperare il diritto soggettivo dei singoli condomini con la funzione sociale che i loro beni sono chiamati a svolgere, i giudici di legittimità hanno sempre dato interpretazione ampia alle facoltà del singolo di comprimere il diritto di  godimento al fine di realizzare opere volte all’abbattimento delle barriere architettoniche, dovendosi tuttavia tale facoltà arrestare ove quella compressione si traduca in una lesione della effettiva possibilità di utilizzo del bene comune o individuale, lesione che può essere integrata anche da una significativa compromissione estetico/funzionale (Cass.civ. sez. VI-2 ord. 14 settembre 2017 n. 2133)

Il fatto che la ricorrente intendesse procedere in via autonoma all’installazione dell’ascensore, ai sensi dell’art. 1102 cod.civ, non sottrae il suo operato alla valutazione testè menzionata, che la giurisprudenza ha delineato per gli interventi innovativi decisi dalla maggioranza, mutando – ove proceda il singolo – solo l’imputazione della spesa ma non i criteri generali che sovraintendono alla esecuzione dell’opera.

In tal senso è infatti orientato l’art. 1122 cod.civ., specie dopo l’intervento del legislatore del 2012, che è volto proprio a consentire al condominio e ai condomini di conoscere tali modalità onde attivarsi tempestivamente per farvi fronte ove le ritengano lesive dei diritti comuni o dei singoli; non è infatti prevista la necessità di alcuna autorizzazione assembleare per intervenire ai sensi dell’art. 1102 c.c,  restando tuttavia salva la possibilità dell’amministratore o dei singoli di reagire ad eventuali iniziative che ritengano vietate o comunque illecite.

A tale attività di valutazione e comparazione pare essere improntata la condotta del condominio, poiché dalle delibere (in particolare 1.7.2017 e 23.9.2017) emerge una ampia dialettica fra le parti, volta non già ad impedire alla R. di installare l’impianto quanto a salvaguardare il decoro e la fruibilità dell’edificio condominiale e delle parti comuni soggette alla installazione.

Dalla documentazione prodotta dalla ricorrente non emerge una volontà prettamente ostruzionistica del condominio, quanto piuttosto un’attenzione della compagine condominiale a rendere l’intervento meno invasivo possibile, suggerendo eventuali soluzioni alternative quali il servoscala (anche interno, come prospettato alla assemblea del 23.9.2017, rifiutato dalla ricorrente per generiche ragioni di salute).

A tal proposito non può essere ritenuta esaustiva e dirimente né la documentazione prodotta dalla ricorrente che rimane mero atto di parte (tanto più che la stessa non ha neanche ritenuto di allegare gli elaborati grafici e progettuali dei propri tecnici), posto che era comunque pieno diritto del condominio valutare se non sussistessero alternative ugualmente soddisfacenti delle necessità della ricorrente: non appare infatti necessario – per assolvere al superamento delle barriere architettoniche – l’installazione della miglior soluzione possibile, potendo essere utilmente adottabile anche soluzioni alternative che siano volte “quantomeno ad attenuare e non necessariamente ad eliminare – le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione” (Cass. Civ. sez. II 6 giugno 2018 n.14500).

Né appare convincente e del tutto pertinente la certificazione medica che sconsiglia l’uso di servoscala, in quanto da una parte generica e sfornita di qualunque motivazione (certificato Dr. C 18.1.2018) e, dall’altra, sorretta da valutazione del tutto ipotetica, che peraltro non spiega per quale ragione l’ascensore sarebbe di diversa utilità e di maggior protezione rispetto al montascale (certificato dr. M 12.1.2018).

Va rilevato che la certificazione allegata dalla stessa ricorrente indica patologie ed esiti diagnostici che paiono presupporre un costante accompagnamento, sì che non si comprende quale aggravamento del rischio porterebbe l’adozione di un servoscala, mentre alcuna valenza possono avere i maggiori costi di manutenzione e la più rapida deteriorabilità di tale impianto, lamentati dalla R, ove lo stesso risulti idoneo adassolvere all’ausilio per la mobilità e, al contempo, salvaguardi maggiormente i beni e diritti comuni.

Ancora meno convincenti appaiono le osservazioni della difesa di parte attrice relative a problemi atmosferici per l’utilizzo del montascale, posto che – come si è già rilevato – laricorrentepareaverrifiutatoanchequello internoechein ogni caso la stessa afferma di trascorrere “ i mesi caldi da aprile a settembre presso l’appartamento di cui trattasi”, periodo in cui l’eventualità di avversità atmosferiche appare tendenzialmente di scarsa rilevanza ed incidenza.

Dai documenti allegati al ricorso non si evince dunque la volontà meramente ostruzionistica né la totale infondatezza delle obiezioni del condominio, che paiono invece rispondere al legittimo esercizio di un diritto derivante dal combinato disposto dagli artt. 1102 e 1122 c.c., sì che le ragioni in forza delle quali oggi la ricorrente richiede la condanna del condominio appaiono fondate su mere e unilaterali affermazioni di parte, così come mere allegazioni di parte inidonee a costituire prova, appaiono le osservazioni tecniche (doc.20) prodotte che, in assenza dei relativi progetti, rendono in questa sede impossibile qualunque valutazione oggettiva sulla incidenza dell’impianto.

L’onere della prova circa i fatti costitutivi della pretesa azionata incombeva comunque alla ricorrente, anche ai soli fini della valutazione circa la soccombenza virtuale, onere che non si può ritenere assolto.

Il deliberato finale del condominio in data 10.3.2018 non potrà, come invece pretende l’attrice, essere ritenuto indicativo di alcun riconoscimento o della fondatezza della domanda, poiché quella decisione assembleare appare piuttosto una ponderata scelta che oscilla fra valutazioni di carattere patrimoniale sulla prosecuzione del contenzioso e ragioni di opportunità e disponibilità nell’ambito dei normali rapporti interpersonali  e condominiali, laddove si riconosce “ a malincuore” e per “la volontà di chiudere definitivamente l’annosa questione” la possibilità di procedere alla installazione secondo una delle soluzioni indicate, con materiali a minor impatto esteticopossibile.

Ai fini della valutazione della condotta delle parti non appare significativa neanche l’offerta della ricorrente – dalla stessa più volte indicata quale mero atto di disponibilità personale – di far subentrare in futuro eventuali condomini che desiderassero utilizzare l’impianto, essendo ciò specifico obbligo previsto dall’art. 1121 III commac.c

E’ di intuitiva evidenza, infine, che la scelta del Condominio di non resistere in giudizio non significa necessariamente che lo stesso si sia riconosciuto ex ante soccombente né vale ad invertire alcun onere della prova, rimanendo la contumacia  condotta  a valenza neutra (Cass. Civ. sez. VI 24 febbraio 2017 n. 4871), tanto più alla luce della natura della domanda proposta dalla attrice, che presuppone “un’azione di accertamento del … diritto di servirsi della cosa comune nei limiti consentitidall’art. 1102 C.C.; e nella causa da loro promossa legittimi contraddittori potevano essere soltanto quei condomini che tale diritto avevano contestato, e non necessariamente tutti i condomini o il condominio” (Cass. Civ. sez. II 12 febbraio 1993 n. 1781)

Non paiono dunque sussistenti, neanche a livello virtuale, le ragioni che possono condurre ex art. 91 c.p.c. ad una condanna alle spese del convenuto, in assenza di prova da parte del ricorrente dei fatti costituitivi della propria pretesa iniziale P.Q.M. Visti gli artt. 702 bis e segg. c.p.c. Dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda principale relativa alla installazione dell’ascensore. Respinge ogni altra domanda della ricorrente.”

sul tema possono essere ancora interessanti  e non superate le riflessioni di approfondimento svolte in un ormai lontano convegno presso  il Politecnico di Torino.

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© massimo ginesi 15 giugno 2018

la portata del giudicato del provvedimento di sfratto

Una recente pronuncia del Tribunale apuano (Trib. Massa 19.4.2018 n. 292) ripercorre gli orientamenti di legittimità nell’ipotesi in cui lo sfratto sia stato convalidato e si discuta in un successivo giudizio delle somme dovute dal conduttore moroso.

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© massimo ginesi 13 giugno 2018

art. 2051 cod.civ. e caduta: spetta all’agente porre attenzione a dove cammina.

 

L’art. 2051 cod.civ. non è il grimaldello per ottenere sempre e comunque un risarcimento per danni occorsi in seguito a cadute accidentali, anche se nei Tribunali continuano ad abbondare controversie promosse da soggetti che asseriscono di essere inciampati in un gradino troppo alto oppure di essere scivolati nel vialetto condominiale in un giorno di pioggia.

Il primo caso è affrontato da Tribunale Massa 16 maggio 2018 e il secondo da Tribunale Pordenone 5 aprile 2018.

Due sentenze che pongono l’accento su un principio  consolidato nella giurisprudenza di legittimità: deve essere dimostrato il nesso causale fra la cosa oggetto di custodia e l’evento e , soprattutto, la condotta colposa dell’agente integra il caso fortuito idonea ad interromperlo.

Insomma vale il vecchio adagio di guardare bene dove si posano i piedi, perché solo ciò che non è prevedibile con l’ordinaria diligenza o contiene comunque una intrinseca insidiosità può costringere il custode a risarcire il danno.

A proposito della caduta sul vialetto bagnato dalla pioggia il tribunale friulano  afferma che : “In caso analogo a quello per cui è causa condivisibile giurisprudenza ha ritenuto che: “In tema di danno causato da cose in custodia, costituisce circostanza idonea ad interrompere il nesso causale e, di conseguenza, ad escludere la responsabilità del custode di cui all’art. 2051 cod. civ., il fatto della vittima la quale, non prestando attenzione al proprio incedere, in un luogo normalmente illuminato, inciampi in una pedana (oggettivamente percepibile) destinata all’esposizione della merce all’interno di un esercizio commerciale, con successiva sua caduta, riconducendosi in tal caso la determinazione dell’evento dannoso ad una sua esclusiva condotta colposa configurante un idoneo caso fortuito escludente la suddetta responsabilità del custode” (Cass. 993/2009).

Nel caso di specie il sig. B. afferma di essere caduto nel vialetto del Condominio in cui risiedeva già da quattro mesi, sicché deve ritenersi che lo stesso fosse a conoscenza sia dello stato dei luoghi che della asserita “pericolosità” degli stessi in caso di precipitazioni piovose.

Il B., pertanto, consapevole delle condizioni metereologiche e del contesto in cui si inseriva il vialetto e considerate le caratteristiche esteriori dello stesso (l’incidente si sarebbe verificato, secondo quanto allegato, in pieno giorno e con condizioni di visibilità ottimali), avrebbe dovuto prestare particolare attenzione alla pavimentazione bagnata e prevedibilmente scivolosa.”

Per ciò che invece attiene alla caduta dovuta ad un gradino di diversa altezza il tribunale apuano rileva che: “Lo stato dei luoghi oggetto di causa è raffigurato da alcune fotografie, che peraltro rappresentano la scalinata della piscina comunale che non nasconde insidia di sorta, che è perfettamente visibile a chi la percorre e che – tuttavia – è ritenuta dalla attrice quale elemento generatore di danno per la differente altezza del suo ultimo gradino, su cui ella stessa  asserisce di essere caduta.

Già tali elementi, in ossequio alla copiosa giurisprudenza sul punto (ampiamente richiamata dal convenuto nella propria difesa finale), consentono di escludere qualunque responsabilità dell’Ente proprietario dell’impianto, poiché non vi è dubbio che è onere del soggetto che percorra un tracciato perfettamente visibile adeguare il proprio passo alle caratteristiche del terreno: appare quantomeno bizzarro sostenere che la caduta sia ascrivibile alle caratteristiche del bene quando un utente mediamente accorto e diligente avrebbe semplicemente adeguato il proprio passo all’ostacolo concreto da superare, né si può ritenere che l’attrice si muovesse con una sorta di camminata presuntiva, sulla scorta dell’altezza degli scalini precedentemente superati, poiché era suo ovvio e intuitivo onere valutare il terreno dinanzi a sè e adeguare allo stesso la propria camminata. ..

La caduta, stando così i fatti e alla luce di quanto testè evidenziato, pare dunque ascrivibile ad una mancata attenzione o ad una inadeguata condotta in capo alla attrice.

In ogni caso, come si è rilevato, i testi non descrivono il dinamismo della caduta, hanno solo riferito di aver visto (o addirittura sentito) cadere la L. e di aver poi verificato che in quel punto vi è un gradino di diversa altezza, sicchè difetta anche prova adeguata sul nesso fra bene ed evento: su caso del tutto analogo, Cassazione Civile, sez. III, sentenza 21/03/2013 n° 7112…

Quel nesso tuttavia ben può essere mitigato, sino ad eliderlo completamente, dalla concorrente  responsabilità dell’agente, condotta che laddove risulti  idonea – come nel caso di specie – ad essere da sola causa dell’evento, esclude la responsabilità del custode

L’elemento selettivo in base al quale limitare la portata dell’art. 2051 c.c. riguarda pertanto, esclusivamente, il nesso di causalità, essendo estraneo alla natura dell’imputazione il profilo del comportamento del custode.

Tuttavia, la prova del nesso causale si presenta particolarmente delicata nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (ad es. scoppio della caldaia, frana della strada etc.), ma richieda che al modo di essere della cosa si unisca l’agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo essa di per sè statica ed inerte (cfr. Cass. 29.11.2006, n. 25243); pertanto, la buca nella strada, il tombino sporgente, il dislivello delle pertinenze stradali et similia non manifestano di per sè soli il collegamento causale – necessario ed ineliminabile – con la caduta del passante, ove questi non provi che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, la caduta.

In ipotesi di tal fatta, risultano dunque necessari ulteriori accertamenti quali la maggiore o minore facilità di evitare l’ostacolo, il grado di attenzione richiesto ed ogni altra circostanza idonea a stabilire se effettivamente la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l’oggettiva responsabilità del custode (cfr. Cass. 5.2.2013, n. 2660). Del resto, anche in relazione all’ipotesi di responsabilità gravante sul custode, la giurisprudenza ha più volte precisato che il comportamento colposo del danneggiato può – secondo un ordine crescente di gravità – atteggiarsi come concorso causale colposo, valutabile ai sensi dell’art. 1227 co. 1 c.c., ovvero addirittura giungere ad escludere del tutto la responsabilità del custode” (Tribunale Massa 16.6.2016 n. 623)”

© massimo ginesi 16 maggio 2018

 

atti troppo lunghi: può costituire violazione delle regole del giusto processo.

Attenzione alla redazione di atti difensivi prolissi  e inutilmente arricchiti con la citazione di tutte le difese avversarie e le dichiarazioni dei testimoni: il predisporre difese inutilmente sovrabbondanti e ridondanti comporta violazione delle regole del giusto processo e può comportare l’applicazione di ella compensazione quale misura sanzionatoria ex art 91 c.p.c.

E’ quanto riporta una sentenza Tribunale Massa 18 aprile 2018, relativa ad un procedimento di locazione ove – a fronte di una sostanziale linearità della materia del contendere – la difesa della parte risultata vittoriosa ha depositato una memoria difensiva finale di ben 45 pagine, in cui ha riportato  in toto quanto già esposto in memoria integrativa,  buona parte delle difese avversarie per poi glossarle con argomenti a confutazione e buona parte delle dichiarazioni dei testi escussi durante l’istruttoria.

Osserva il Tribunale apuano ” la M. ha depositato una conclusionale di ben 45 pagine ove ha ripetuto innumerevoli volte concettidel tutto assimilabili e decisamente sintetizzabili in misura più opportuna)…

Le spese seguono la soccombenza e possono essere liquidate –in assenza di rilevanti questioni di fatto e diritto e stante la sostanziale omogeneità dei motivi di contendere nei procedimenti riuniti –in forma unitaria e secondo i minimi tariffari previsti dal DM 55/2014 per il relativo scaglione di valore (CAss. SS.UU.17406/2012);

stante la condotta della difesa di parte vittoriosa, che ha depositato una conclusionale di ben 45 pagine, reiterando più volte concetti già espressi e riportando ampi stralci delle difese avversarie al solo fine di confutarle, con una condotta che costituisce violazione delle regole del giusto processo ( Trib. Milano 1.10.2013, CAss. 11199/2012) vengono compensateper metà.”

Si tratta di concetto già espresso dalla Corte di legittimità, riguardo al giudizio di cassazione  “La motivazione semplificata non è preclusa dalla particolare ampiezza degli atti di parte (111 pagine è la lunghezza del ricorso principale, il controricorso e ricorso incidentale raggiungono le 64 cartelle, e la memoria illustrativa, meramente iterativa del ricorso principale, è di 36 pagine), perchè detta ampiezza – che certamente, pur non ponendo un problema di formale violazione delle prescrizioni formali dettate dall’art. 366 cod. proc. civ., non giova alla chiarezza di tali atti e concorre ad allontanare l’obiettivo di un processo celere, che esige da parte di tutti atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio – non è affatto direttamente proporzionale alla complessità giuridica o all’importanza economica delle questioni veicolate, e si risolve soltanto in una inutile e disfunzionale sovrabbondanza, infarcita di continui e ripetuti assemblaggi e trascrizioni degli atti defensionali, delle sentenze dei gradi di merito, delle prove testimoniali, della consulenza tecnica e dei suoi allegati planimetrici.” ( Cass.Civ.  sez. 04/07/2012,  n. 11199) e fatto proprio anche da alcuni giudici di merito: “Non rispettano il principio del giusto processo gli atti depositati dalle parti con contenuti sovrabbondanti dove, nel merito, rispetto alle precedenti difese ed al thema decidendum, non introducano elementi di particolare differenziazione o novità” (Trib. Milano 1 ottobre 2013).

© massimo ginesi 19 aprile 2018

 

il termine per introdurre la mediazione obbligatoria non è perentorio

Per alcune controversie l’art. 5 D.lgs 28/2010 prevede obbligatoriamente l’esperimento del procedimento di mediazione, che costituisce condizione di procedibilità dell’azione.

Come è noto alla mediazione si sottraggono quelle fasi sommarie o cautelari  che la legge – per la loro natura – affida alla cognizione del giudice ordinario senza alcuna barriera preventiva, fra i vanno annoverati  il procedimento per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto.

Anche tali ipotesi, tuttavia, sussiste obbligo di mediazione una volta esaurita la fase sommaria o cautelare (in caso di opposizione al decreto ingiuntivo, una volta pronunciati i provvedimenti sulla provvisoria esecutorietà e nella opposizione a convalida di sfratto una volta statuito sull’ordinanza ex art 665 c.p.c. e mutato il rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c.).

In quelle ipotesi il giudice dispone che si dia corso a procedimento di mediazione a cura della parte che ne ha interesse, che dovrà provvedere nel termini di quindi giorni.

Si tratta di termine che da una parte (dominante)  della giurisprudenza di merito è stato ritenuto non perentorio, sicché non incorrerà nella improcedibilità della domanda colui  che abbia dato corso in ritardo, purché il procedimento sia stato introdotto prima della udienza di verifica e si sia concluso (o sia prossimo alla conclusione).

In tal senso si è espresso di recente anche Tribunale Massa con sentenza 8.3.2018 n. 202 che ha osservato “quanto alla improcedibilità della domanda, va osservato che questo giudice aderisce alla tesi della non perentorietà dello stesso (Tribunale Roma, sez. XIII 14 luglio 2016, n. 14185), specie laddove la parte abbia ottemperato all’introduzione del procedimento di mediazione non in prossimità dell’udienza di trattazione e il procedimento abbia trovato comunque il suo esaurimento prima di tale data, come avvenuto nel caso di specie.”

© massimo ginesi 12 marzo 2018