terrazze a livello e lastrici solari sono comuni ex art. 1117 cod.civ., se il titolo non dispone diversamente.

La Suprema Corte  (Cass.civ. sez. II ord. 23 agosto 2017, n. 20287  Rel. Scarpa) ribadisce un orientamento consolidato in tema di coperture piane del fabbricato, con una motivazione che – seppur in sintesi – traccia con grande efficacia i contorni della materia.

Il fatto e la vicenda processuale: “La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 21/11/2006 ed ha accolto in parte la domanda, proposta da C.O. , C.R. e C.G. con citazione del 28/04/1997, ordinando a G.M. di rimuovere i manufatti (veranda e relativi paletti di sostegno, muretto portante una stufa, cancello di accesso) realizzati sul lastrico di copertura dei locali terranei di proprietà C. , adibiti ad esercizio commerciale e siti in (omissis) .

In citazione, come si legge nella sentenza impugnata, gli attori avevano allegato che l’area di copertura dei locali terranei di loro proprietà fosse costituita in parte da lastrico impraticabile e per la residua parte da “terrazzo in uso esclusivo del sig. G.M. “.

Ha affermato la Corte d’Appello che in tal modo gli attori C. avessero riconosciuto al G. solo l’”uso di fatto” della parte adibita a terrazza, e non anche “il titolo giuridico a possedere”.

Il Ctu, si legge ancora nella sentenza impugnata, aveva verificato come il locale terraneo di proprietà C. avesse uno sviluppo di circa 160 mq, mentre il terrazzo pertinente l’appartamento di proprietà G. , avente uno sviluppo complessivo di circa 190 mq, si sovrappone all’immobile C. per circa 110 mq, e la residua superficie di copertura del terraneo è non praticabile. Sempre il Ctu aveva accertato che l’appartamento G. ha un terrazzo che insiste in parte su fabbricato adiacente con titolarità differente e che l’accatastamento della porzione di terrazzo collegata all’appartamento era avvenuta senza titolo di provenienza.

I giudici di appello hanno così concluso che, non avendo il G. allegato e provato un titolo di acquisto della proprietà superficiaria, la porzione di lastrico sovrastante i terranei di proprietà C. fosse stata abusivamente occupata dal G. con le opere denunciate, “non potendo detta porzione di lastrico, benché di fatto in uso al G. , qualificarsi né comune ex art. 1117 c.c., né di proprietà esclusiva del convenuto”

I principi riaffermati dal giudice di legittimità: “La Corte d’Appello di Napoli, nell’ambito dell’indagine, spettante ai giudici del merito, diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non si è uniformata al tenore meramente letterale della citazione (nella quale, come visto, gli attori avevano allegato l’esistenza di un “terrazzo in uso esclusivo del sig. G.M. “), ma, per converso, avendo riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dagli istanti, ha concluso che gli attori C. riconoscessero al G. un mero “uso di fatto” della parte adibita a terrazza, vantandosi, pertanto, pieni proprietari dell’area abusivamente occupata dai convenuti.

Ciò premesso, in termini di prova, la sentenza impugnata ha penalizzato il G. per non aver egli allegato e provato un titolo di acquisto della proprietà esclusiva della terrazza sovrastante i terranei C. , negando altresì che la stessa potesse presumersi come comune agli effetti dell’art. 1117 c.c..

Nella sua decisione, la Corte d’Appello ha così malamente applicato l’art. 1117 c.c., alla stregua dell’interpretazione affermata da Cass. Sez. 2, 22/11/1996, n. 10323, che il Collegio intende qui ribadire.

Invero, l’art. 1117, n. 1, c.c. menziona tra i beni comuni i tetti ed i lastrici solari, i quali sono parti essenziali per l’esistenza del fabbricato, in quanto per la struttura e per la funzione servono da copertura all’edificio e da protezione per i piani o per le porzioni di piano sottostanti dagli agenti atmosferici, mentre tale disposizione non fa espresso riferimento alle terrazze a livello, le quali, tuttavia, pur offrendo rispetto al lastrico utilità ulteriori, quali il comodo accesso e la possibilità di trattenersi, svolgono altresì le medesime funzioni di copertura dell’edificio e di protezione dagli agenti atmosferici, e devono perciò ritenersi di proprietà comune proprio ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c., rimanendo attribuite in condominio ai proprietari delle singole unità immobiliari.

Tale identità di funzione tra terrazza a livello e lastrico solare è, del, resto alla base della comune pacifica applicazione ad entrambi dell’art. 1126 c.c.

Quest’ultima norma, nel prevedere la possibilità di “uso esclusivo” del lastrico solare o della terrazza (espressione identica a quella adoperata dagli attori in citazione), non specifica la natura giuridica di tale diritto, il quale può avere carattere reale o personale, ma deve comunque risultare dal titolo; in mancanza di titolo attributivo di un siffatto uso esclusivo, ha vigore la regola generale del regime di comunione, dato che la superficie (della terrazza – lastrico solare) serve pur sempre a coprire i vani sottostanti dell’edificio condominiale, e che tale regime non è escluso dal solo fatto che dal bene uno o più comproprietari traggano utilità maggiori rispetto agli altri (così Cass. Sez. 2, 09/08/1999, n. 8532; Cass. Sez. 2, 21/05/1974, n. 1501).

È del resto ammissibile, per quanto si desume dall’art. 61 disp. att. c.c., che, pur in presenza di fabbricati che presentino elementi di congiunzione materiale, allorché vengano costituiti condomini separati per le parti aventi i connotati di autonomi edifici, uno dei titolari di porzioni esclusive si ritrovi proprietario di un immobile ricadente in entrambi i condomini (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 23/03/2017, n. 7605; Cass. Sez. 2, 01/03/1995, n. 2324; Cass. Sez. 2, 07/08/1982, n. 4439).

In definitiva, la deroga all’attribuzione legale al condominio e l’attribuzione in proprietà o uso esclusivo della terrazza a livello possono derivare solo dal titolo, mediante espressa disposizione di essi nel negozio di alienazione, ovvero mediante un atto di destinazione da parte del titolare di un diritto reale.

Non è determinante considerare la terrazza a livello come pertinenza dell’appartamento da cui vi si accede, in quanto ciò supporrebbe l’autonomia ontologica della terrazza e l’esistenza del diritto reale su di essa, che consenta la sua destinazione al servizio dell’appartamento stesso, in difformità dall’attribuzione ex art. 1117 c.c., laddove, a norma dell’art. 819 c.c., la destinazione al servizio pertinenziale non pregiudica i diritti dei terzi, e quindi, non può pregiudicare i diritti dei condomini sulla cosa comune.

D’altro canto, la Corte di Napoli, una volta interpretata la domanda come un’azione di rivendica, in quanto fondata sull’affermazione della proprietà della terrazza di copertura in capo agli attori, e rivolta nei confronti di chi detenesse “di fatto” la cosa per ottenerne la restituzione, avrebbe dovuto onerare proprio gli attori di fornire la rigorosa prova piena del loro diritto esclusivo, dimostrando il loro titolo di acquisto e quello dei loro danti causa, sino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario.”

La sentenza di merito è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di appello.

© massimo ginesi 30 agosto 2017

l’art. 1102 cod.civ. e il pari uso della cosa comune: i limiti.

Cass.civ. sez. II  13 luglio 2017 n. 17400 ribadisce i limiti di utilizzo delle parti comuni che il singolo può attuare secondo l’art. 1102 cod.civ.: si tratta, nella fattispecie, della installazione di un condizionatore  su una parte condominiale e a servizio della unità di un condomino.

L’installazione è stata ritenuta vietata (sin dal giudice di pace che, in primo grado, aveva deciso sulla vicenda) poiché l’utilizzo di una parte comune ad pera del singolo è consentito -anche ove sottragga in parte al disponibilità della stessa all’uso comune, ove agli altri condomini non rimanga precluso un uso analogo.

“In tema di condominio ciascun condomino libero di servirsi della cosa comune anche per fini esclusivamente propri,  traendo ogni possibile utilità, purché non alteri la destinazione della cosa comune e consenta un uso paritetico agli altri condomini.

il disposto di cui all’articolo 1102 c.c. prevede che il pari godimento della cosa comune è sottoposto due limiti fondamentali: il divieto di alterarne la destinazione e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.”

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© massimo ginesi 14 luglio 2017

posto auto e vincolo di destinazione

La Cassazione ( Cass. civ. II sez. 3 maggio 2017 n. 10727) ritorna, con una recentissima sentenza, su un tema assai dibattito nelle aule di giustizia, affrontando un aspetto peculiare legato al vincolo di destinazione nei rapporti fra venditore ed acquirente dell’immobile cui il posto auto è vincolato.

La vicenda è peculiare e vede ben due sentenze della Corte di Appello di Roma cui era stata rinviata dalla Suprema Corte all’esito del primo sindacato di legittimità: “X convenne dinanzi al tribunale di Roma la Y S.p.A. chiedendo in via principale che fosse accertato che, con l’atto con cui aveva acquistato in data 22 luglio 1998 dalla convenuta all’immobile sito in (…), le era stato trasferito, quale accessorio e pertinenza, anche il posto auto distinto con la lettera C, ubicato al piano seminterrato dell’edificio o, in alternativa, che la Y spa fosse condannata al relativo trasferimento e, in via subordinata, che fosse disposta la costituzione di un suo diritto reale sul detto  posto auto”

La Corte di legittimità, all’esito del tormentato iter processuale afferma “Il vincolo di destinazione posto dall’articolo 18 della legge 6 agosto 1967 numero 765 e dall’articolo 26 della legge 28 febbraio 1985 numero 47 comporta l’obbligo non già di trasferire la proprietà dell’area destinata a parcheggio insieme alla costruzione, ma quello di non eliminare il vincolo esistente, sicché esso crea  in capo all’acquirente dell’appartamento un diritto reale d’uso sull’area”

Ed ancora “al costruttore (venditore originario) è dovuto un apposito corrispettivo (o una integrazione del prezzo della unità abitativa compravenduta) per il diritto di uso dell’area a parcheggio (ex plurimis Cass. 18179/2010, casi. 10199/2010, Cass. 18691/2007, Cass. 5160/2006).

LA Corte afferma dunque l’ineludibilità del vincolo d’uso dello spazio a parcheggio, destinato a soddisfare le esigenze pubblicistiche legate alla sosta delle auto, ma chiarisce che ove le parti   abbiano espressamente previsto nell’atto di acquisto – come nel caso di specie – il mancato trasferimento del diritto sull’area destinata a parcheggio, la volontà delle stesse dovrà essere integrata dal disposto di legge, con l’obbligo dell’acquirente di versare comunque il corrispettivo anche per il posto auto.

 © massimo ginesi 4 maggio 2017 

il diritto di impugnare la delibera compete (quasi sempre) al condomino e non al conduttore

La Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. II Civile, 5 gennaio 2017, n. 151) esaminando un caso peculiare – in cui il Condominio aveva deliberato di disporre la chiusura dei cancelli di accesso all’area cortilizia interna per impedire il transito veicolare – ribadisce un prinpicio consolidato.

Salvo che per le materia in cui è chiamato a decidere il conduttore (riscaldamento), il diritto di impugnare la delibera compete unicamente al condomino locatore: “la Corte d’appello si è attenuta al principio di diritto ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell’art. 1137 cod. civ., ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, anche in caso di locazione dell’immobile, salvo che nella particolare materia dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria, per la quale la decisione e, conseguentemente, la facoltà di ricorrere, sono attribuite ai conduttori (ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. n. 869 del 2012).”

La premessa in fatto e diritto, con cui in sentenza è descritta la vicenda sostanziale e processuale,  è indispensabile per comprendere anche l’altro punto su cui si esprime la Cassazione, ovvero la legittimità della delibera con cui il condominio limita l’uso dell’area interna cortilizia: è legittima l’innovazione che limiti per tutti i condomini e per finalità di interesse collettivo l’uso di un determinato bene comune. 

Il Tribunale di Terni aveva parzialmente accolto la domanda proposta dai sigg. L. , M. , F. , T. e I. in qualità di conduttori i primi due, e di proprietari gli altri di unità immobiliari ad uso commerciale facenti parte del Condominio di (omissis) , e per l’effetto aveva dichiarato la nullità della delibera 7 ottobre 2004 nella parte in cui prevedeva la chiusura permanente dei cancelli e delle sbarre di accesso all’area privata interna per tutto l’arco della giornata.
La Corte d’appello, adita dal Condominio, ha rilevato il difetto di legittimazione delle sigg. L. e M. ad impugnare la delibera, in quanto soltanto conduttrici delle unità immobiliari, e nel merito ha rigettato la domanda di accertamento della nullità della delibera condominiale 7 ottobre 2004.  Secondo la Corte territoriale, la legittimità della delibera condominiale, che prevedeva il divieto di apertura del cancello salvo che per effettuare le operazioni di carico e scarico di merci, doveva essere valutata in riferimento al disposto dell’art. 1120 cod. civ., in materia di innovazioni relative all’uso della cosa comune, e non al disposto dell’art. 1102 cod. civ., come ritenuto dal Tribunale. In tale prospettiva, la disposta limitazione era coerente con la previsione contenuta nel Regolamento condominiale, nel quale era stabilito che “gli spazi di proprietà comune, durante le ore diurne, saranno luogo sicuro di ricreazione dei bimbi del condominio e quindi le auto dei condomini non dovranno sostare in dette aree, ad eccezione di brevi istanti per la salita e la discesa dagli automezzi”. In esecuzione del Regolamento, infatti, già con delibera condominiale del 4 marzo 1981 era stata decisa l’installazione del cancello scorrevole, con chiusura che permetteva l’accesso per le operazioni di carico e scarico delle merci presso i negozi situati nello stabile condominiale. Tale delibera era stata confermata con la successiva del 29 agosto 1991, la cui impugnazione era stata rigettata dal Tribunale ed era diventata definitiva, per assenza di gravame sul punto.
La Corte d’appello ha inoltre osservato che la delibera del 7 ottobre 2004, ancora oggetto di controversia, ribadiva il contenuto di precedente delibera del 7 maggio 2004, che aveva risolto il contrasto tra condomini proprietari degli appartamenti e condomini proprietari dei locali ad uso commerciale, confermando la necessità della chiusura permanente del cancello, con l’eccezione indicata. La delibera non aveva prodotto l’inservibilità dell’area comune per alcuni condomini, e in particolare per quelli che l’avevano impugnata, ma soltanto la riduzione dell’uso dell’area comune per tutti i condomini, e tale decisione rientrava a pieno titolo nelle facoltà rimesse all’assemblea condominiale.”

La Suprema Corte, chiamata a censurare tale aspetto, afferma: “i ricorrenti evidenziano che la chiusura del cancello costituiva innovazione vietata, poiché aveva determinato una sensibile menomazione dell’utilità che in precedenza gli stessi ricorrenti traevano dal bene comune (è richiamata Cass., sez. 2, sentenza n. 20639 del 2005), sotto il profilo della visibilità e dell’accesso, anche potenziale della clientela, e che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che la verifica della legittimità della delibera dovesse essere condotta alla stregua soltanto dell’art. 1120 cod. civ.. La disciplina dell’uso del cancello doveva essere valutata, invece, anche in relazione al principio del pari godimento della cosa comune.
Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente perché connesse, sono infondate.
La ratio decidendi della sentenza impugnata è duplice: la Corte d’appello ha ritenuto, da un lato, che la delibera impugnata fosse meramente confermativa di precedente delibera, coerente con la destinazione dell’area risultante dal regolamento condominiale e con la già avvenuta installazione del cancello automatico, e, dall’altro lato, ha evidenziato che si trattava di delibera rispettosa della regola prevista dall’art. 1120 cod. civ., in quanto non aveva reso inservibile l’area ad alcuno dei condomini. La prima ratio è contestata con il terzo motivo, che tuttavia si risolve nella prospettazione di una interpretazione del contenuto della delibera difforme da quella operata dalla Corte di merito, vale a dire in un apprezzamento in fatto alternativo a quello e ciò, in sede di legittimità, non è consentito (ex plurimis, e, Cass. 15185 del 2001) in assenza di errori di diritto e vizi logici.
Rimanendo integra la prima ratio decidendi, la doglianza proposta con il quarto motivo risulta priva di decisività in quanto inidonea a condurre alla cassazione della sentenza, e come tale inammissibile (ex plurimis, Sez. U, sent. 15185 del 2001).”

© massimo ginesi 16 gennaio 2017

La Cassazione ritorna su parcheggi e prescrizione

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La Suprema Corte ritorna su un tema dalle mille sfaccettature e su cui, negli ultimi giorni, già si era pronunciata.

Cass. Civ. II sez. 21 novembre 2016 n. 23669 afferma un interessante principio, suscettibile di  significative conseguenze sul piano applicativo: il diritto di parcheggio, ove non usato per oltre venti anni si prescrive, sotto il profilo civilistico, in capo all’originario beneficiario, pur permanendo il vincolo di destinazione che ha invece rilievo pubblico ed è imprescrittibile.

Afferma la Corte “Ai sensi dell’articolo 41 sexies  della legge urbanistica nel testo vigente all’epoca di introduzione della lite le nuove costruzioni ed anche nelle aree di  pertinenza delle costruzioni stesse devono essere riservati spazi per parcheggi in misura non inferiore ad 1 m² per ogni 10 m³ di costruzione. Tale disposizione, come è noto,  è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che il diritto attribuito ex lege ai proprietari delle singole unità immobiliari sugli spazi di parcheggio, dei quali il venditore sì si è riservato la proprietà, è di natura reale e può estinguersi per non uso soltanto con il decorso di 20 anni in base al combinato disposto degli articoli 1014 n.1  e 1026 codice civile, fermo restando in ogni caso il vincolo di destinazione che ha carattere pubblicistico permanente.

Orbene la permanenza del vincolo pubblicistico di destinazione trae punto che questo possa esplicarsi solo a favore dei proprietari delle res principales (cioè, nella specie, dei condomini), ben potendo essere attuata anche dai terzi proprietari dell’area, ad esempio locando i relativi spazi a terzi…

Tale interesse pubblico,…, non giustifica però l’imprescrittibiltà del diritto d’uso del proprietario dell’appartamento ai sensi dell’articolo 2934 cpv codice civile… Vi osta la duplice ragione che  detta norma nel riferirsi ai diritti indisponibili intende cosiddetti iura status,  vale a dire i diritti relativi allo stato la capacità delle persone, il diritto di proprietà nel senso della imprescrittibilità dell’azione di rivendicazione e delle facoltà che formano il contenuto di un diritto soggettivo e che proprio il carattere pubblico e permanente del vincolo di destinazione pone quest’ultimo al riparo dalle vicende private, essendo indifferente ai fini del corretto assetto urbanistico  del territorio se la area di parcheggio sia goduta dei proprietari di quei medesimi appartamenti in relazione ai quali essa è stata calcolata, ovvero da terzi.”

L’area destinata a parcheggio – in attuazione di norme di carattere pubblicistico – dovrà continuare ad assolvere la propria funzione, e  non potrà quindi vedere mutata la sua destinazione, ma per lo Stato rimane indifferente chi sia il soggetto che in concreto ne fruirà, essendo invece tali rapporti soggetti a principi privatistici.

© massimo ginesi 22 novembre 2016 

parcheggi condominiali, valgono titolo e legge vigente all’epoca della costruzione

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Gli spazi destinati a parcheggio sono fra i temi di maggior constrasto nella vita condominiale, sia per ciò che attiene alla loro regolamentazione ed utilizzo che per la complessa legislazione che si è succeduta nel tempo, con  riflessi diversi anche sulla loro circolazione quali beni autonomi: Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 aprile – 30 giugno 2016, n. 13445 Presidente Migliucci – Relatore Bianchini.

I fatti: “L.E. citò innanzi al Tribunale di Bari la spa N.G.I., dalla quale aveva acquistato un appartamento e le relative parti comuni, nello stabile sito in (omissis) , perché fosse accertato il suo diritto all’utilizzo di uno spazio a parcheggio – alternativamente: a titolo di proprietà; di comproprietà condominiale; quale esplicazione di un diritto di servitù o come diritto reale d’uso di cui all’art. 18 delle legge 765/1967- sito nel seminterrato dell’edificio condominiale; chiese inoltre di esser risarcita dei danni subiti, atteso che la privazione dell’esercizio del diritto a parcheggio l’avrebbe costretta a prendere in affitto apposito spazio. La società convenuta si oppose all’accoglimento della domanda con l’osservare che nella vendita dell’appartamento non veniva fatta menzione del trasferimento di un qualsiasi diritto sullo spazio in questione. “

Le pronunce di merito: “il Tribunale riconobbe in favore della L. il solo diritto reale d’uso richiesto in via subordinata, liquidando anche il danno per la mancata disponibilità dell’area; respinse inoltre la domanda riconvenzionale subordinata, volta al riconoscimento alla venditrice di una integrazione del prezzo. La Corte di Appello di Bari, adita in via principale dalla N.G.I. ed in via incidentale dalla L., statuì non esservi stata una pronuncia ultra petita – in ragione del fatto che il primo giudice aveva riconosciuto in favore dell’attrice un diritto di uso oneroso e non già, come richiesto, a titolo gratuito- richiamando la interpretazione di legittimità sui diritti autodeterminati e sulla conseguente non vincolatività per l’interprete del titolo posto a base della domanda; negò che potesse applicarsi la sopravvenuta legge 246/2005 che stabiliva che gli spazi a parcheggio potessero essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle unità abitative; riconobbe in favore dell’appellante principale il diritto all’integrazione del prezzo di vendita, espressamente richiamando l’esigenza di ristabilire -se del caso, anche d’ufficio- il sinallagma contrattuale; aumentò altresì la stima del valore dello spazio a parcheggio, rispetto a quella formulata dal consulente di ufficio; riformò infine anche il capo di decisione relativo alla quantificazione del danno liquidato L. in quanto ritenne che il riconoscimento del danno emergente – commisurato al canone per la locazione di un parcheggio – non potesse essere aggiunto a quello per il lucro cessante, atteso che la originaria attrice, se avesse avuto tempestivamente la disponibilità del parcheggio, o non avrebbe sopportato le anzidette spese o avrebbe goduto di un reddito per la locazione a terzi dello spazio in questione, non potendo invece trovare realizzazione contemporanea le due ipotesi risarcitorie. Quanto all’appello incidentale – per quello che conserva di interesse in sede di legittimità – la Corte di Appello ritenne applicabile alla fattispecie il regime dettato dall’art. 2 della legge n. 122 del 1989 che stabiliva la inalienabilità degli spazi a parcheggio in modo autonomo rispetto all’unità abitativa alla quale appartenevano, in ciò distinguendosi dalla precedente disciplina – art. 18 della legge 765 del 1967 – così dunque escludendo, tra l’altro, la possibilità che gli spazi in questione potessero rientrare nella previsione di afferenza condominiale secondo quanto disposto dall’art. 1117 cod. civ. – nella formulazione all’epoca vigente – o che, come pure richiesto dall’appellata, potesse alla stessa riconoscersi la piena proprietà o comproprietà sugli stessi spazi.”

La Corte di legittimità cassa con rinvio ad altra sezione della corte di appello osservando che: ” Il primo motivo è fondato, atteso che la legge n. 122/1989 disciplina gli atti di disposizione relativi a spazi a parcheggio realizzati dopo la sua entrata in vigore, mentre nella fattispecie in esame è rimasto accertato che l’edificio in cui era stato ricavato il parcheggio era stato costruito nel 1968 e l’appartamento alienato alla ricorrente aveva formato oggetto di vendita del 7 agosto 1998; la contestata interpretazione avrebbe dunque comportato l’attribuzione di una efficacia retroattiva alla legge – così contravvenendosi al disposto dell’ars 11 delle c.d. preleggi – altresì violando le norme che stabiliscono un nesso pertinenziale tra bene principale e spazio a parcheggio (artt. 26, comma V della legge 47/1985). L’erronea individuazione del referente normativo, in luogo dell’art. 18 della legge n. 765/1967, lascia dunque aperta la possibilità, per il giudice del rinvio, cassata in parte qua la gravata decisione, di una divergente delibazione dell’atto di trasferimento dell’appartamento alla L. , al fine di verificare se la inesistenza di una riserva di proprietà in capo al venditore degli spazi a parcheggio, unita alla considerazione della locazione a terzi dell’intero piano seminterrato, da epoca precedente alla compravendita (per come riportato a fol. 37 del controricorso ed a fol. 5 delle memorie ex art. 378 cpc), consentano il riconoscimento del più ampio diritto di comproprietà ex art. 1117 cod. civ. (v. ex militis Cass. Sez. II n. 11261/2003; Cass. Sez. TI n 730/2008; Cass. Sez. II n. 1214/2012).”

© massimo ginesi 4 luglio 2016

 

l’assemblea di condominio può solo regolamentare il parcheggio nel cortile comuni ma non può provvedere ad assegnazioni esclusive

Lo ha affermato la Cassazione, II sezione civile, con sentenza 27 maggio 2016 n. 11034, aderendo a princpio più volte espressi dalla stessa corte.

In particolare il Giudice di legittimità afferma che “si deve allora riconoscere che l’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito (al di fuori, dunque, da ogni logica di turnazione), di posti macchina all’interno di un’area condominiale sia illegittima, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune “

L’assemblea ha solo il potere di regolamentare l’uso, anche di natura turnaria, del bene comune senza possibilità di incidere sulla pari possibilità di godimento di tutti i condomin; osserva infatti la Corte come l’organo collegiale: “possa deliberare a semplice maggioranza l’uso a parcheggio di spazi comuni. In particolare, la delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall’art. 1136, 5 co. c.c., non essendo all’uopo necessaria l’unanimità dei consensi (per tutte: Cass. 15 giugno 2012, n. 9877; cfr. pure Cass. 29 dicembre 2004, n. 24146; Cass. 8 novembre 2004, n. 21287). Tuttavia, la proposizione in tanto vale in quanto la delibera regolamenti l’uso e il godimento nel senso di disporre una innovazione diretta al miglioramento, all’uso più comodo, o al maggior rendimento delle cose comuni a norma dell’art. 1120, 1 co. cod. civ.”

Utile la paradigmatica distinzione fra atti regolamentari e atti che finsicono per essere dispositivi: ” È lo stesso art. 1120 a marcare il limite che si frappone all’attuazione di innovazioni che abbiano un diverso effetto: il secondo (ora quarto) comma dell’articolo prevede infatti che sono vietate le innovazioni “che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino”. Il divieto di tali innovazioni ha proprio lo scopo di evitare che il singolo condomino veda contrarsi il suo diritto di godere, entro i limiti della propria quota, di parti del condominio che sono comuni, e quindi destinate alla fruizione collettiva. Sul punto, la disposizione replica il precetto, di carattere più generale, dettato in materia di comunione dall’art. 1102 c.c.: precetto che trae origine dalla medesima ragione ispiratrice e che fa infatti divieto a ciascun comunista di impedire agli altri partecipanti della comunione di fare parimenti uso della cosa secondo il loro diritto. In tal modo, deve negarsi che l’utilizzo che il singolo condomino faccia del bene comune possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello, attuale o potenziale, degli altri.”

qui  la sentenza per esteso

© massimo ginesi giugno 2016