Una recentissima pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II 21.3.2022 n. 9068 rel. Scarpa) riprende le ultime tesi avanzate dalla corte ( Cass.civ. sez. II 7.7.20221 n. 19250 e Cass.civ. sez. VI-2 20.7.2020 n. 15434) e afferma che la determinazione del valore della causa di impugnazione di delibera assembleare non deve essere parametrata unicamente alla quota imputata al condomino che agisce.
“Questa più recente interpretazione tiene adeguatamente conto della considerazione che la sentenza che dichiari la nullità o pronunci l’annullamento della impugnata deliberazione dell’assemblea condominiale produce sempre un effetto caducatorio unitario. L’effetto della sentenza di annullamento opera, infatti, nei confronti di tutti i condomini, anche se non abbiano partecipato direttamente al giudizio di impugnativa promosso da uno o da alcuni di loro. La domanda di impugnazione del singolo non può intendersi, perciò, ristretta all’accertamento della validità del rapporto parziale che lega l’attore al condominio, estendendosi, piuttosto, alla validità dell’intera deliberazione (cfr. Cass. Sez. 2, 29 gennaio 2021, n. 2127; Cass. sez. 2, 25 novembre 1991, n. 12633). Tale ampliamento dell’efficacia del giudicato a tutti i componenti dell’organizzazione condominiale è, del resto, coerente col disposto del primo comma dell’art. 1137 c.c., per cui le deliberazioni prese dall’assemblea sono obbligatorie per tutti i condomini, essendo inconcepibile che la delibera annullata giudizialmente venga rimossa per l’impugnante e rimanga invece vincolante per gli altri comproprietari”
Se il condomino impugna la delibera condominiale, facendo valere profili di illegittimità che lo riguardano, il valore della causa si determina in funzione della quota che lo stesso sarebbe chiamato a pagare, sì che – ove la stessa non superi i cinquemila euro – la causa sarà di competenza del giudice di pace.
E’ principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, confermato da una recente ordinanza della Cassazione (Cass.Civ. sez.VI-2 28 agosto 2018, n. 21227).
“È affermazione condivisa nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 6363 del 2010) che, ai fini della determinazione della competenza per valore in relazione ad una controversia avente ad oggetto il riparto di una spesa approvata dall’assemblea di condominio, anche se il condomino agisce per sentir dichiarare l’inesistenza del suo obbligo di pagamento sull’assunto dell’invalidità della deliberazione assembleare, bisogna far riferimento all’importo contestato, relativamente alla sua singola obbligazione e non all’intero ammontare risultante dal riparto approvato dall’assemblea, poiché, in generale, allo scopo dell’individuazione della competenza, occorre porre riguardo al “thema decidendum”, invece, che al “quid disputandum”, per cui l’accertamento di un rapporto che costituisce la “causa petendi” della domanda, in quanto attiene a questione pregiudiziale della quale il giudice può conoscere in via incidentale, non influisce sull’interpretazione e qualificazione dell’oggetto della domanda principale e, conseguentemente, sul valore della causa (conf. Cass. 16898/13 e 18283/15).”
Ora, nel caso in esame, come risulta dall’atto di citazione, pur considerando la parte dell’atto di citazione riportato dallo stesso ricorrente, il tema specifico introdotto dall’attore, come correttamente ha rilevato, anche, il Tribunale di Imperia, attiene alla contestazione della debenza degli importi deliberati in relazione alla spiaggia, al giardino ed alla tubazione da sostituire.
D’altra parte, come è riconosciuto anche da questa giurisprudenza, non sussiste in capo al singolo condomino alcun interesse a verificare in termini generali ed astratti l’esattezza dei principi e delle spese indicate dall’amministratore. Piuttosto, va qui evidenziato, ed in termini generali, che in caso di violazione di vizi formali (incompletezza dell’ordine del giorno, violazione di norme sul procedimento di convocazione o insufficienza delle maggioranze) la legittimazione ad agire non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse ad agire, atteso che il suddetto interesse è costituito proprio dall’accertamento dei vizi formali (Cass. n. 2999/10, Cass.4270/11), mentre nelle ipotesi di violazioni sostanziali, è necessario che, la parte che intende impugnare, sia portatrice di un interesse concreto diretto ad un vantaggio effettivo e non solo astratto (Cass.15377/00).
Sicché, nel caso in cui il singolo condomino censura la legittimità della ripartizione delle spese, il suo interesse ad agire per far accertare l’eventuale illegittimità della ripartizione è correlato all’importo che lo stesso sarebbe tenuto a corrispondere in ragione della ripartizione deliberata. Ciò detto e, considerato che il Tribunale di Imperia ha accertato che l’importo dovuto da S. , in ragione della ripartizione delle spese approvate, non superava l’importo di C. 5000,00, la competenza per valore era del Giudice di Pace di Sanremo, come correttamente è stato affermato dallo stesso Tribunale di Imperia”
Una monumentale sentenza del Tribunale di Savona 6 aprile 2018 n. 358 affronta il complesso tema della insonorizzazione dell’immobile, riconducendo il vizio a quelli disciplinati dall’art. 1669 cod.civ. e ascrivendone la responsabilità a venditore, costruttore e progettista/direttore lavori.
La normativa sottesa non è di semplice disamina e la sentenza compie un utile ed interessante excursus fra le norme che si sono succedute nel tempo.
L’esito è favorevole all’acquirente, che si vede valutare significativamente la diminuzione di valore del bene in conseguenza di un vizio destinato ad incidere in maniera significativa sul suo godimento.
L’ampiezza della argomentazione e dei riferimenti normativi e giurisprudenziali consigliano lettura integrale della pronuncia.
Un tema assai frequente in condominio su cui la Corte di Cassazione, con un recentissima pronuncia, ribadisce un orientamento consolidato. La vicenda riguarda la formulazione dell’art. 69 disp.att. cod.civ. nella versione antecedente alla legge del 2012, ma le considerazioni sull’errore rimangono attuali, non avendo la novella inciso sulle previsioni della norma in tema di revisione a fronte di erronee indicazioni dei valori.
La Cassazione, sez. II Civile, sentenza 6 luglio – 4 ottobre 2016, n. 19797 afferma che “A norma degli artt. 68 e 69 disp. att. c.c., il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini, e detti valori, che devono essere ragguagliati in millesimi a quello dell’intero edificio ed espressi in una apposita tabella allegata al regolamento, possono essere riveduti e modificati, anche nell’interesse di un solo condomino: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano. Ne consegue che, in tema di condominio di edifici, i valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell’edificio vanno individuati con riferimento al momento dell’adozione del regolamento, e la tabella che li esprime è soggetta ad emenda solo in relazione ad errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori. Pertanto, in ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, né i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell’edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l’edificio (Cass. 10-2-2010 n. 3001). Gli errori rilevanti ai fini della revisione delle tabelle, dunque, oltre ad essere causa di apprezzabile divergenza tra il valore attribuito nella tabella alle unità immobiliari ed il valore effettivo delle stesse, devono essere obiettivamente verificabili (ad es.: divergenze di estensione della superficie, di piano e simili), restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza (ai fini dell’errore) dei criteri soggettivi (ad es.: d’ordine estetico e simili) nella stima degli elementi necessari per la valutazione ex art. 68 disp. att. c.c. (Cass. Sez. Un. 24-1-1997 n. 6222).”
Nello specifico: “costituiscono errore essenziale, e possono dare luogo a revisione delle tabelle millesimali, gli errori che attengano alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali l’estensione, l’altezza, l’ubicazione, esposizione etc.), siano errori di fatto (per esempio, erronea convinzione che un singolo appartamento abbia una estensione diversa da quella effettiva), siano errori di diritto (ad esempio, erronea convinzione che nell’accertamento dei valori debba tenersi conto di alcuni degli elementi che, a norma dell’art. 68 comma ult. disp. att. cit. sono irrilevanti a tale effetto). Mentre non possono qualificarsi essenziali gli errori determinati soltanto da criteri più o meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, poiché l’errore di valutazione, in sé considerato, non può mai essere ritenuto essenziale, in quanto non costituisce un errore sulla qualità della cosa a norma dell’art. 1429 n. 2 cod. civ. (Cass. 27-3-2001 n. 4421). Al contrario, la norma di cui all’art. 68 comma ult. disp. att. c.c. stabilisce che nell’accertamento dei valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell’intero edificio, “non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione”. L’esclusione del canone locativo, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione si giustifica con la considerazione che detti elementi non afferiscono alla obiettiva conformazione strutturale del piano o della porzione di piano in rapporto all’intero edificio, la quale invece dipende da altri fattori, e cioè la estensione, l’altezza, la ubicazione, l’esposizione (Cass. 10-2-1994 n. 1367). Nella specie, la sentenza impugnata si è conformata agli enunciati principi, avendo escluso la sussistenza dei presupposti legittimanti la revisione delle tabelle millesimali dopo avere accertato: a) che non si era in presenza di errori obiettivamente verificabili, che fossero stati causa di apprezzabile discrasia tra il valore attribuito nella tabella alle unità immobiliari ed il valore effettivo delle stesse; b) che, non essendovi stata un’alterazione della consistenza reale ovvero della superficie effettivamente godibile e, quindi, alcuna modifica delle caratteristiche proprie degli immobili, una diversa destinazione d’uso del locale non poteva incidere sull’assetto millesimale, atteso che la individuazione dei valori proporzionali deve avvenire tenendo conto delle caratteristiche obiettive proprie degli immobili e non anche della loro possibile destinazione, determinata essenzialmente da valutazioni di carattere soggettivo”.
Una articolata sentenza della Suprema Corte (CAss. civ. Sez. II 12482/2016) fa il punto sulla divisione giudiziale di un compendio immobiliare e ribadisce il potere del Giudice di stabilire, con adeguata motivazione, le modalità di formazione dei lotti – che possono anche avere natura disomogenea – onde soddisfare al meglio il diritto di ciascun condividente.
La vicenda origina in terra ligure (Sestri Levante) sino ad arrivare al Palazzaccio.
Afferma la Suprema Corte che “il contenuto del diritto dei condividendi ad una porzione di beni immobili comuni, qualitativamente omogenea all’intero, consiste nella proporzionale divisione degli immobili considerati nel genere e non in un frazionamento quotistico delle singole entità immobiliari (fabbricati, terreni, ecc.) comprese nella massa da dividere, sicchè non è sindacabile in sede di legittimità la decisione con cui il giudice di merito abbia ritenuto che taluni dei beni immobili oggetto di comunione possano essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sebbene aventi caratteristiche diverse, invece ad altra quota, stimando comunque omogenee tra loro le quote stesse quanto al valore dei singoli cespiti, come attestato dall’esiguità dei conguagli, in relazione al valore dell’intero asse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27405 del 06/12/2013). Pertanto, nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, spetta al giudice del merito accertare se il diritto del condividente ad una porzione in natura dei beni in comunione sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio”