Nella redazione delle tabelle millesimali il tecnico deve tenere conto di tutte le caratteristiche delle singole unità immobiliari che compongono il condominio, valutando nella sua stima anche gli elementi accessori che ne costituiscono incremento di valore.
E’ principio ormai pacifico in giurisprudenza e ribadito da Cass.civ. sez. II ord. 11 settembre 2017 n. 21043;
la vicenda riguarda un caso di revisione delle tabelle ex art. 69 disp.att. cod.civ., posto che alcuni condomini avevano variato la consistenza e la destinazione d’uso delle proprie unità: la Corte d’Appello di Napoli aveva imposto al consulente chiamato a redigere le nuove tabelle di non valutare i vani esterni al profilo verticale dell’edificio e, in particolare, un ripostiglio e un bagno facenti parte di una delle unità nonché i giardini, il terrazzo a livello, la tettoia e l’area esterna di pertinenza di altra unità.
Il giudice di legittimità censura la sentenza osservando che non si è attenuta ai principi consolidati in materia:
Una articolata sentenza della Cassazione fa il punto sul complesso tema dell’appalto e dei relativi poteri assembleari previsti dall’art. 1135 cod.civ.
Cass.Civ. II sez. 21 febbraio 2017 . n. 4430 (rel. Scarpa): la causa nasce nel 2004 con una impugnazione di delibera con cui gli attori chiedono al Tribunale di Lanciano di dichiarare invalida “la deliberazione dell’assemblea condominiale del 9 dicembre 2003, che aveva approvato il rendiconto dall’1.11.2002 al 31.10.2003 e la relativa ripartizione, comprensivi di un importo dei lavori di manutenzione della fogna per un importo di C 13.840,63, oltre I.V.A., maggiore di quello preventivato e pattuito con l’appaltatrice B.D. SRL, pari ad C 7.790,89. Gli attori avevano chiesto di dichiarare invalida la deliberazione dell’assemblea, per motivi inerenti alle carenze dell’ordine del giorno, al merito dei lavori effettivamente eseguiti dall’impresa ed alla ripartizione delle spese, effettuata sulla base di 986,42 millesimi anziché 1000 millesimi”
Osserva la corte, in primo luogo, che l’approvazione dell’appalto è materia di pertinenza dell’assemblea ai sensi dell’art. 1135 cod.civ. “E’ pacifico che occorra l’autorizzazione dell’assemblea (o, comunque, l’approvazione mediante sua successiva ratifica), ai sensi dell’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., e con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 4, c.c., per l’approvazione di un appalto relativo a riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale (si veda indicativamente Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016).”
La decisione passa poi ad esaminare il contenuto della delibera di approvazione di contratto di appalto e il potere del sindacato del giudice, che non potrà mai estendersi al merito: “Il contenutLa delibera assembleare in ordine alla manutenzione straordinaria deve determinare l’oggetto del contratto di appalto da stipulare con l’impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell’opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa.
Sono, peraltro, ammissibili successive integrazioni della delibera di approvazione dei lavori, pure inizialmente indeterminata, sulla base di accertamenti tecnici da compiersi. In ogni caso, l’autorizzazione assembleare di un’opera può reputarsi comprensiva di ogni altro lavoro intrinsecamente connesso nel preventivo approvato (arg. da Cass., Sez. 2, Sentenza n. 5889 del 20/04/2001). I condomini non possono, però, sollecitare il sindacato dell’autorità giudiziaria sulla delibera di approvazione dei lavori straordinari, censurando l’utilità dei lavori, l’adeguatezza tecnica dell’intervento manutentivo stabilito, o la scelta di un preventivo di spesa meno vantaggioso di quello contenuto in altra offerta. Il controllo del giudice sulle delibere delle assemblee condominiali è limitato al riscontro della legittimità, in base alle norme di legge o del regolamento condominiale, e giunge fino alla soglia dell’eccesso di potere, mentre non può mai estendersi alla valutazione del merito ed alla verifica delle modalità di esercizio del potere discrezionale spettante all’assemblea”.
Ove intervengano significative varianti nel corso della esecuzione dell’opera, queste dovranno formare oggetto di ulteriore specifica approvazione assembleare: Quanto detto in ordine all’approvazione delle modalità costruttive ed al prezzo vale, ovviamente, anche per le varianti dell’opera di manutenzione straordinaria appaltata dal condominio, dovendo parimenti le variazioni alle originarie modalità convenute essere autorizzate dall’assemblea del condominio, sempre ex artt. 1135, comma 1, n. 4, e 1136, comma 4, c.c. E’ tuttavia certamente consentito all’assemblea di approvare successivamente le varianti delle opere di manutenzione straordinarie appaltate, comportanti un aumento delle spese medesime, disponendone il rimborso, trattandosi di delibera riconducibile fra le attribuzioni conferitele dall’art. 1135 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6896 del 04/06/1992; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016, in motivazione). L’assemblea può, infatti ratificare le spese straordinarie erogate dall’amministratore senza preventiva autorizzazione, anche se prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, e, di conseguenza, approvarle, surrogando in tal modo la mancanza di una preventiva di delibera di esecuzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18192 del 10/08/2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2864 del 07/02/2008).”
Detta ratifica ben potrà avvenire anche durante l’approvazione del rendiconto annuale, ove l’ordine del giorno sia sufficientemente esteso da poter comprendere tutti gli esborsi dell’esercizio (seppure, plausibilmente, la delibera sullo specifico punto sia da adottare con le diverse maggioranze richieste dalla materia straordinaria): “Quanto detto in ordine all’approvazione delle modalità costruttive ed al prezzo vale, ovviamente, anche per le varianti dell’opera di manutenzione straordinaria appaltata dal condominio, dovendo parimenti le variazioni alle originarie modalità convenute essere autorizzate dall’assemblea del condominio, sempre ex artt. 1135, comma 1, n. 4, e 1136, comma 4, c.c. E’ tuttavia certamente consentito all’assemblea di approvare successivamente le varianti delle opere di manutenzione straordinarie appaltate, comportanti un aumento delle spese medesime, disponendone il rimborso, trattandosi di delibera riconducibile fra le attribuzioni conferitele dall’art. 1135 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6896 del 04/06/1992; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10865 del 25/05/2016, in motivazione). L’assemblea può, infatti ratificare le spese straordinarie erogate dall’amministratore senza preventiva autorizzazione, anche se prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, e, di conseguenza, approvarle, surrogando in tal modo la mancanza di una preventiva di delibera di esecuzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18192 del 10/08/2009; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2864 del 07/02/2008).”
Da quella delibera sorge l’obbligo dei condomini di versare le proprie quote e non dalla stipulazione del contratto con l’appaltatore e, per le stesse ragioni, non può darsi azione diretta del singolo condomino verso l’appaltatore: “Ritenuta la deliberazione dell’assemblea 9 dicembre 2003 utile ratifica dell’obbligo di spesa per i lavori di manutenzione della fogna nell’importo di C 13.840,63, oltre I.V.A., dovuto all’appaltatrice B. D. SRL, è da essa (salvi gli effetti invalidanti dell’impugnazione ex art. 1137 c.c.), e non dal rapporto contrattuale con l’appaltatrice, che discende l’obbligo dei singoli condomini di partecipare agli esborsi derivanti dall’esecuzione delle opere. Ponendosi il condominio (e non ciascun condomino) come committente nei confronti dell’appaltatrice (giacché unitario è l’interesse sottostante alla posizione dei singoli partecipanti al condominio, espresso nell’atto collegiale), la tutela del singolo condomino, riguardo agli effetti pregiudizievoli derivanti dalle obbligazioni assunte nei confronti della stessa appaltatrice, può concepirsi soltanto nell’ambito dell’impugnazione della deliberazione dell’assemblea di approvazione, e non sotto il profilo dei rimedi contrattuali.
E’ perciò sostanzialmente corretto quanto deciso dalla Corte d’Appello dell’Aquila, dichiarando inammissibile la pretesa dei condomini D.D.V. e M. P. di agire in via diretta verso l’appaltatrice per accertare il minor compenso spettante a quest’ultima.”
Il ricorso al Giudice di legittimità trova invece fondamento sulla ripartizione millesimale errata, che comporta rinvio al giudice di merito: “D.D.V. e M. P. avevano impugnato con specifico motivo la sentenza del Tribunale di Lanciano anche riproponendo la domanda di annullamento della deliberazione dell’assemblea condominiale del 9 dicembre 2003, perché il riparto era stato effettuato sulla base di 986,42 millesimi anziché 1000 millesimi, in quanto domanda su cui il primo giudice non aveva deciso. Su tale motivo di appello la Corte di L’Aquila ha omesso di pronunciarsi. Si impone pertanto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, richiedendo la decisione nel merito accertamenti di fatto in ordine alla sussistenza nella deliberazione di ripartizione della spesa del valore delle unità immobiliari, espresso in millesimi, ragguagliato a quello dell’intero edificio.”
L’impugnazione risulta fondata anche per quel che attiene al tema delle spese, sullo spinoso problema della compensazione, soluzione con troppa frequenza adottata dai Tribunali (e su cui gli ultimi interventi legislativi hanno opportunamente posto qualche limite applicativo): “La Corte di L’Aquila ha altresì omesso di pronunciare sul motivo di impugnazione attinente all’omessa compensazione ed all’entità della liquidazione delle spese di primo grado operata in favore dei convenuti. Il giudice di appello, in presenza di una censura che investe la pronunzia del giudice di primo grado sulle spese, specificamente indicando giusti motivi di compensazione o un’eccessiva liquidazione di esse, ha il dovere di apprezzare, anche nel contesto di ogni altro elemento, la consistenza ed importanza dei fatti dedotti e di precisare, così, la ragione per la quale egli ritenga di condividere la decisione di primo grado (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9758 del 10/05/2005).”
La Cassazione (Cass. civ. 14 dicembre 2016 n. 25790) esprime un principio ovvio e del tutto lineare in tema di tabelle millesimali.
La pronuncia è riferita al testo previgente dell’art. 69 disp.att. cod.civ., può tuttavia essere di indubbio interesse anche per comprendere la portata di detta norma dopo la riforma del 2012.
Il caso origina dalla impugnativa di una delibera con cui il Condominio aveva approvato nuove tabelle rispetto a quelle sino a quel momento vigenti.
Alcuni condomini si dolgono che non fossero stati dedotti errori o variazioni significative e che pertanto l’adozione di quelle tabelle, a maggioranza, fosse del tutto arbitraria e non consentita.
Assai singolarmente il Tribunale di Messina, e poi la Corte d’Appello della stessa città, avevano dato ragione al Condominio, osservando
” – che le doglianze degli appellanti risultavano sfornite di prova perché non era stata dimostrata la violazione dell’art. 69 disp. att. cc nel testo previgente (applicabile alla fattispecie ratione temporis) e l’avvenuta approvazione delle nuove previsioni in assenza delle condizioni di legge; – che parimenti la dedotta erroneità delle nuove tabelle non risultava supportata a alcun elemento di prova perché le censure risultavano generiche per mancata indicazione dei parametri da applicare e per mancanza di precisazioni sulla dedotta arbitrarietà e discrezionalità dei coefficienti utilizzati dal tecnico; – che la censura sulla omessa misurazione delle unità immobiliari trovava smentita nei chiarimenti resi dal tecnico sulla determinazione dei valori effettuata sulla scorta delle planimetrie catastali previa verifica della correttezza delle misure direttamente sui luoghi.”
La Corte di legittimità, assai opportunamente, cassa la sentenza di secondo grado con rinvio ad altra sezione della corte di merito, stabilendo un ovvio principe sostanziale e processuale:
“ L’articolo 69 delle norme di attuazione del codice civile, nella versione vigente ratione temporis, stabilisce che “i valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano possono essere riveduti o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano”. La chiara formulazione della disposizione sta a significare che il diritto di chiedere la revisione delle tabelle millesimali è condizionato dall’esistenza di uno o di entrambi i presupposti indicati (1- errore; 2- alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano). Logico corollario è che, in base alla regola generale dell’onere probatorio (art. 2697 cc), la prova della sussistenza delle condizioni che legittimano la modifica incombe su chi intende modificare le tabelle, quanto meno con riferimento agli errori oggettivamente verificabili (v. Sez. 2, Sentenza n. 21950 del 25/09/2013 Rv. 629207). La Corte d’Appello di Messina si è però discostata da tale principio perché – esonerando del tutto il Condominio (che aveva deliberato la revisione) – ha addossato ai condomini la prova di fatti negativi (e cioè mancanza di errori nelle precedenti tabelle o assenza di alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano) mentre invece, a fronte della contestazione sulla legittimità della revisione, avrebbe dovuto fare onere al Condominio che aveva deliberato la revisione di dimostrare la sussistenza delle condizioni che la giustificavano. “
Ne deriva che, anche alla luce della attuale disciplina, appaia confermata l’ipotesi di possibile revisione e modifica a maggioranza solo in presenza di errori o variazioni qualificanti (essendo invece sempre consentita all’unanimità).