spese condominiali e di lite: imputabilità fra successori nella titolarità dell’immobile.

Accade con frequenza che, in occasione della vendita di una unità immobiliare posta in condominio, sorgano contrasti fra venditore ed acquirente (che non hanno disposto in sede di cessione una disciplina conversione nazionale o che, peggio, si sono taciuti l’esistenza di controversie) circa le spese dovute, sia per quel che attiene al capitale, sia per quel che riguarda eventuali spese di lite.

Una recente pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2  25/06/2020,  n.12580) richiama orientamento consolidato, che distingue con riguardo alle spese straordinarie e alle spese ordinarie, imputando le prime a chi era condomino al momento della delibera che le ha disposte e le secondo al concreto atto gestionale. Le spese di lite seguono lo stesso contrario, a seconda che riguardino controversie relative a contributi dell’uno o dell’altro tipo.

i fatti:Il sig. P.A., partecipante al condominio dello stabile di (OMISSIS), proponeva opposizione al precetto notificatogli dall’avv. A.M. per il pagamento della somma di Euro 8.270,66, quale quota millesimale di sua competenza del maggior credito di Euro 99.124,98 riconosciuto a favore del medesimo avv. A. nel decreto ingiuntivo emesso a carico del condomino a titolo di corrispettivo di attività giudiziali e stragiudiziali svolte tra il 2002 ed il 2008. A fondamento dell’opposizione il sig. P. sosteneva tra l’altro, per quanto qui ancora interessa, di non essere tenuto al pagamento pro quota del suddetto debito condominiale, per essere tale debito sorto quando egli non era ancora condomino, avendo acquistato il proprio immobile nel 2013.”

il prinpcio di diritto richiamato dalla corte: come questa Corte non ha mancato di osservare “La costruzione giurisprudenziale del principio della diretta riferibilità ai singoli condomini della responsabilità per l’adempimento delle obbligazioni contratte verso i terzi dall’amministratore del condominio per conto del condominio, tale da legittimare l’azione del creditore verso ciascun partecipante, poggia comunque sul collegamento tra il debito del condomino e la appartenenza di questo al condominio, in quanto è comunque la contitolarità delle parti comuni che ne costituisce il fondamento e l’amministratore può vincolare i singoli comunque nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli (Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148). Non può pertanto essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del vincolo solidale ex art. 63 disp. att. c.c., chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l’obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, nella specie per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente i lavori” (così Cass. n. 1847/2018, pag. 5).

Quanto all’assunto sviluppato nella memoria depositata dal ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., alla cui stregua la decisione della Corte d’appello sarebbe conforme all’orientamento espresso da questa Corte nella sentenza n. 24654/10, è sufficiente rilevare che esso si fonda su una lettura errata tale ultima sentenza.

Nella sentenza n. 24654/10, infatti, si instaura una distinzione tra:

a) spese necessarie alla manutenzione ordinaria, alla conservazione, al godimento delle parti comuni dell’edificio o alla prestazione di servizi nell’interesse comune;

b) spese attinenti a lavori che comportino una innovazione o che, seppure diretti alla migliore utilizzazione delle cose comuni od imposti da una nuova normativa, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere rilevante, superiore a quello inerente alla manutenzione ordinaria dell’edificio.

Tale distinzione concerne l’individuazione del momento in cui nasce l’obbligazione condominiale, che, per le spese di cui sub a), coincide con il compimento effettivo dell’attività gestionale mentre, per le spese di cui sub b), coincide con la data di approvazione della delibera condominiale (avente valore costitutivo) che dispone l’esecuzione degli interventi.

Ma, in entrambi i casi, il soggetto su cui grava il debito è colui che partecipa al condominio nel momento di insorgenza dell’obbligazione, quale che sia tale momento (cfr. sent. n. 24654/10, pag. 6, p. 1.2: “In generale il condomino è tenuto a contribuire nella spesa la cui necessità maturi e risulti quando egli è proprietario di un piano o di una porzione di piano facente parte del condominio: e siccome l’obbligo nasce occasione rei e propter rem, chi è parte della collettività condominiale in quel momento deve contribuire”.

© massimo ginesi 8 luglio 2020

l’inadeguata insonorizzazione integra il grave difetto costruttivo ex art 1669 c.c.

Una monumentale sentenza del Tribunale di Savona 6 aprile 2018 n. 358 affronta  il complesso tema della insonorizzazione dell’immobile, riconducendo  il vizio a quelli disciplinati dall’art. 1669 cod.civ. e ascrivendone la responsabilità a venditore, costruttore e progettista/direttore lavori.

La normativa sottesa non è di semplice disamina e la sentenza compie un utile ed interessante excursus fra le norme che si sono succedute nel tempo.

L’esito è favorevole all’acquirente, che si vede valutare significativamente la diminuzione di valore del bene in conseguenza di un vizio destinato ad incidere in maniera significativa sul suo godimento.

L’ampiezza della argomentazione e dei riferimenti normativi e giurisprudenziali consigliano lettura integrale della pronuncia.

insonorizzazione

© massimo ginesi 31 maggio 2018 

 

 

 

 

 

art. 1669 cod.civ. – gravi vizi nell’appalto: la responsabilità del venditore, del direttore lavori e la nozione di grave difetto.

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Secondo  un orientamento ormai diffuso della giurisprudenza di legittimità, la disciplina dell’art. 1669 cod.civ. – che prevede una responsabilità decennale dell’appaltatore per i gravi difetti costruttivi – ha natura di ordine pubblico, in quanto volta a garantire la sicurezza  degli edifici, si applica, a determinate condizioni,  anche al venditore che ponga in commercio immobili di nuova costruzione e vede sempre più ampliati i limiti dei difetti che possono rientrare nel perimetro della norma.

Cass.Civ.sez. II, del 24 aprile 2018, n. 10048 compie una ampia disamina sul punto, spingendosi a valutare anche la responsabilità concorrente del direttore lavori, figura che troppo spesso assume invece una posizione defilata nelle controversie in tema di responsabilità del costruttore.

termine per la denunzia – ormai da tempo la giurisprudenza ritiene che il termine per la denunzia dei vizi all’appaltatore (che l’art. 1669 cod.civ. indica in un anno dalla scoperta) decorra da quando il committente (o compratore, nel caso di specie) abbia una chiara conoscenza non solo della manifestazione esteriore del problema ma anche della sua connessione causale con operato dell’appaltatore. sul punto la pronuncia in commento conferma tale orientamento: “il ricorrente principale si duole che la corte territoriale abbia ritenuto avvenuta la scoperta dei vizi – ai fini della decorrenza dei termini per la denuncia e l’azione ex art. 1669 cod. civ. – al momento del deposito della relazione peritale nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo, in luogo che in uno dei momenti anteriori quali la redazione della relazione del consulente tecnico di parte, ciò che avrebbe imposto di ritenere tardive denuncia e azione. La censura, in entrambe le articolazioni, è infondata. Invero, con motivazione congrua rispetto al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 primo comma cit. (p. 6 della sentenza), la corte d’appello ha dato atto delle ragioni per le quali si dovesse ritenere che il condominio avesse avuto una conoscenza imperfetta dei vizi e dell’impatto di essi sulla complessiva struttura sino al completamento dell’accertamento tecnico preventivo all’uopo richiesto, non essendo a tanto idonea la parziale consapevolezza prima acquisita, a livello ancora di sospetto.

Tanto, dall’altro punto di vista della conformità al diritto ex n. 3 dell’art. 360 primo comma cit., è in linea con l’orientamento di questa corte (v. ad es. Cass. n. 9966 del 2014) secondo cui il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 cod. civ. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e tale termine può essere postergato all’esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale. L’importanza a tal fine di accertamenti tecnici è stata sottolineata anche (da Cass. n. 1463 del 2008) per il fatto che, ai fini del decorso del termine, è necessaria la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo”

la responsabilità del venditore/committente – “la parte ricorrente pare attribuire alla sentenza impugnata l’affermazione dell’applicabilità dell’art. 1669 cod. civ. per disciplinare la responsabilità della venditrice, sulla base del riconoscimento all’appaltatrice di un ruolo di nudus minister che, nella sentenza impugnata, non trova riscontro. In questa, piuttosto, si afferma che la s.r.l. venditrice-committente, per avere essa mantenuto autonomia decisionale e sorvegliato i lavori, dovesse ritenersi costruttrice a fianco dell’appaltatrice ai fini dell’art. 1669 cod. civ., e in base a tale ingerenza responsabile…

Ove la parte ricorrente principale abbia, invece, inteso contestare l’applicazione di tale regula iuris, quale innanzi ricostruita, essa peraltro non è difforme dall’orientamento applicativo di questa corte, che in più pronunce – anche richiamate dalla corte di merito – ha affermato che la responsabilità ex art. 1669 cod. civ. trova applicazione, anche in via concorrente, quando il venditore- costruttore abbia realizzato l’edificio servendosi dell’opera di terzi, se la costruzione sia a esso riferibile, in tutto o in parte, per aver partecipato in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento di attività altrui o di impartire direttive e sorveglianza, sempre che i difetti siano riportabili alla sua sfera di esercizio e controllo (così ad es. Cass. n. 16202 del 2007), accogliendo in tal senso una nozione di riferibilità più ampia rispetto a quella tra committente dominante e nudus minister; in tal senso l’art. 1669 cod. civ., mirando a finalità di ordine pubblico, è applicabile non solo nei casi in cui il venditore abbia con propria gestione di uomini e mezzi provveduto alla costruzione, ma anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l’opera di soggetti professionalmente qualificati, come l’appaltatore, il progettista, il direttore dei lavori, abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attività, sicché anche in tali casi la costruzione dell’opera è a lui riferibile (così Cass. n. 567 del 2005).”

responsabilità del direttore lavori – “DG contesta poi l’affermazione di sua responsabilità quale direttore dei lavori contenuta nella sentenza impugnata, e tanto con copia di massime giurisprudenziali in ordine al riparto dell’onere della prova in tema di danno extracontrattuale quale quello ex art. 1669 cod. civ., all’ambito di controllo sui lavori edili lasciato al professionista officiato quale direttore di essi, nonché all’esigenza che – anche per completezza della motivazione – sussistano elementi che facciano emergere scelte tecniche erronee o mancato controllo sull’esecuzione. Contesta, in particolare, la natura a suo dire meramente presuntiva delle affermazioni contenute in sentenza.

La sentenza impugnata sfugge alle mosse censure. Essa si diffonde adeguatamente sulla figura e sul ruolo dell’arch. DG, figlio del legale rappresentante e socio di maggioranza della F s.r.I., “con studio nello stesso stabile ove questa aveva sede”; afferma come altamente verosimile quindi che questi svolgesse non solo l’alta sorveglianza sui lavori, ma anche “ulteriori e più pregnanti controlli e più specifiche e ingerenti direttive per realizzare l’interesse della società e del genitore”, ponendo anche in luce il nesso tra il suo legame e la tutela interessi della F s.r.I., che egli “rappresentava a tutti gli effetti” nelle “assemblee di condominio ove si trattava dei vizi e difetti, proponendo soluzioni tecniche, interventi riparatori o anche proposte conciliative”. La corte locale, poi, integrando sul punto la decisione del tribunale, si è rettamente posta il problema – al di là del richiamo del principio di corresponsabilità del direttore dei lavori – di individuare “la prova, quantomeno presuntiva, del contributo causale in concreto ascrivibile”; nel ciò fare, ha richiamato ampiamente le considerazioni già svolte circa il ruolo dell’architetto eccedente “l’espletamento dei compiti istituzionali del direttore dei lavori” (che venivano citati), con lo svolgimento di “ulteriori e più incisive ingerenze sotto il profilo della sorveglianza e delle direttive alla ditta appaltatrice” . La sentenza è poi passata a considerare “la tipologia, la consistenza e la natura dei vizi e difetti” oggetto di lite, e ha – categoria per categoria di opere – diffusamente giustificato l’affermazione di responsabilità di un professionista non avvedutosi che nessuna impermeabilizzazione era stata adottata, che mancavano le protezioni di copertura, che sussistevano disfunzioni dell’impianto fognario e di adduzione del gas con utilizzo di tubazioni non appropriate e scorretta collocazione di pozzetti e connessioni. Ha concluso dunque reputando che la responsabilità non fosse “affermata in modo automatico, come sostiene nei suoi atti difensivi” l’arch. G.”

la natura dei gravi difettiil ricorrente lamenta che fra i vizi ricondotti all’art. 1669 cod.civ. vi sia anche la realizzazione della condotta di adduzione gas, non di proprietà del condominio ma dell’ente erogatore, che è stata tuttavia realizzata dall’appaltatore.

“…quanto all’inclusione tra i danni risarcibili di quelli all’impianto di adduzione del gas, che non rileva a fini risarcitori l’assetto proprietario di un bene, quanto la circostanza che l’utilità data da quel bene sia persa per l’utilizzatore, per cui rettamente la corte di merito ha considerato priva di rilievo l’opinione del c.t.u., su cui si impernia un’argomentazione di DG, secondo cui il risarcimento idoneo a ricostruire tubazioni da realizzarsi dal costruttore sarebbe incompatibile con l’eventuale ricadere in proprietà delle stesse (per accessione o altrimenti) in capo all’ente erogatore (e senza che il c.t.u. si sia posto il problema del se dette opere, pur accedute in proprietà altrui, fossero state realizzate dall’appaltatrice). Quanto alle dilavazioni e ai percolamenti, poi, con congrua motivazione la corte d’appello ha posto in luce che essi, lungi dall’essere un dato secondario, rivelavano il grave difetto della mancanza di protezioni di copertura sulle murature, con imbibizione delle strutture sottostanti”

il condominio ha avanzato un unico motivo di controricorso, relativo alle cavillature in facciata, ritenute della corte territoriale non ascrivibili alla disciplina dell’art. 1669 cod.civ. : “Secondo il condominio (che richiama l’opinione del proprio consulente di parte) dette fessurazioni sulle facciate sarebbero suscettibili anche in relazione ai fenomeni di dilavamento di causare rigonfiamenti di intonaci e infiltrazioni, e sarebbero da qualificarsi come gravi vizi.

Il motivo è fondato e va accolto. Fermo restando che compete al giudice del merito, con accertamento in fatto insuscettibile di riesame in sede di legittimità, qualificare in concreto una determinata anomalia costruttiva di edificio, va richiamato che al fine di distinguere dal punto di vista giuridico il concetto di vizi che incidano sulla conservazione e funzionalità dell’edificio ex art. 1669 cod. civ. dalla diversa nozione di vizi dell’opera ex art. 1667 cod. civ. questa corte è di recente intervenuta a sezioni unite (Cass. sez. U n. 7756 del 2017) chiarendo che sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

Ciò posto, va considerato che, al fine di pervenire all’esclusione delle cavillature in concreto accertate dal novero delle poste risarcibili, la corte milanese – dopo aver ricordato che il c.t.u. aveva distinto due tipologie di cavillature “entrambe non … dovute a debolezza della struttura” e non tali da provocare “infiltrazioni all’interno delle abitazioni” – ha affermato, con valutazione che, come si dirà, concreta error in iudicando pur se costituente citazione di precedenti (ora superati) di questa corte, che “l’articolo 1669 cod. civ. non trova applicazione per quei vizi che non incidano negativamente sugli elementi strutturali essenziali … e, quindi, sulla … solidità, efficienza e durata, ma solamente sul[V] … aspetto decorativo ed estetico” del manufatto (p. 4 della sentenza impugnata).

Tale affermazione contrasta con la linea interpretativa fatta propria dalle sezioni unite (alla cui pronuncia del 2017 cit. si rinvia per i richiami, tra i quali, ad es., quello a Cass. n. 22553 del 2015 concernente fessurazioni incidenti però in maniera infiltrativa).

Secondo l’indirizzo ora accolto anche vizi che riguardino elementi secondari ed accessori, come i rivestimenti, devono ritenersi tali da compromettere la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

Come noto, in edilizia il rivestimento (verticale o murale e orizzontale, quest’ultimo se sottostante definito pavimento – v. per l’utilizzo delle nozioni ad es. art. 1125 cod. civ.) è applicato agli elementi strutturali di un edificio con finalità di accrescimento della resistenza alle aggressioni degli agenti chimico-fisici, anche da obsolescenza, e atmosferici, svolgendo anche funzioni estetiche; in tale quadro le fessurazioni o microfessurazioni (tra le quali le cavillature) di intonaci (o anche di altri tipi di rivestimento), se non del tutto trascurabili, a prescindere dalla possibilità di dar luogo o no a infiltrazioni, realizzano comunque nel tempo una maggiore esposizione alla penetrazione di agenti aggressivi sugli elementi strutturali, per cui esse – pur se ascrivibili a ritrazione dei materiali – sono prevenute mediante idonee preparazioni dei rivestimenti in senso compensativo e idonea posa.

A prescindere da ciò, peraltro, quand’anche le fessurazioni o crepe siano inidonee a mettere a rischio altri elementi strutturali e quindi impattino solo dal punto di vista estetico, e siano eliminabili con manutenzione anche meramente ordinaria (Cass. n. 1164 del 1995 e n. 1393 del 1998), esse – in quanto incidenti sull’elemento pur accessorio del rivestimento (di norma, l’intonaco) – debbono essere qualificate in via astratta, ove non siano del tutto trascurabili, idonee a compromettere la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene e, quindi, a rappresentare grave vizio ex art. 1669 cod. civ. (così Cass. sez. U n. 7756 del 2017).

In tal senso, deve ritenersi superato, all’esito dell’arresto nomofilattico richiamato, il precedente indirizzo – cui si è invece ispirata la sentenza impugnata – per cui lesioni – anche sottoforma di microfessurazioni – ai rivestimenti (pur se d’intonaco) possano considerarsi irrilevanti in quanto incidenti solo dal punto di vista estetico (v. ad es. Cass. n. 13268 del 2004 e n. 26965 del 2011, ma in senso contrario v. già n. 12792 del 1992). Ciò, del resto, è coerente anche con il sempre maggior rilievo che il decoro degli edifici svolge ai fini del loro godimento e commerciabilità secondo l’evoluzione sociale.”

© massimo ginesi 2 maggio 2018

art. 63 disp.att. cod.civ.: dalla Cassazione un’accurata disamina della natura dell’obbligazione e del suo operare fra venditore ed acquirente

E’ noto che l’art. 63 disp.att. cod.civ., sia nella formulazione anteriore alla novella del 2012 che in quella attuale, prevede solidarietà fra acquirente e venditore dell’unità immobiliare  per le somme dovute al condominio in forza dell’esercizio  in corso e di quello precedente all’atto del trasferimento.

Si tratta di norma che ha valenza nei conforti del condominio, ma non rileva nei rapporti interni fra venditore ed acquirente, che potranno regolare nell’atto le rispettive obbligazioni e che comunque saranno tenuti in forza di meri criteri cronologici legati al trasferimento, avendo riguarda – per le spese straordinarie – a chi era proprietario al momento della delibera che ne ha deciso l’esecuzione.

Tale rilevanza rimane  interna  anche riguardo ai rapporti con il terzo creditore, che non potrà fra conto sul vincolo di solidarietà fra venditore ed acquirente dell’unità condominiale .

La Suprema  Corte chiarisce inoltre che il vincolo previsto  dall’art. 63 disp.att. cod.civ. opera anche in caso di acquisto in sede di esecuzione immobiliare, ribadendo  una tesi abbastanza pacifica in dottrina e diffusa nella giurisprudenza di merito, ma che non aveva ancora trovato un recente e netto riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità, sì che non è raro trovare coloro che ancora sostengono la leggenda metropolitana dell’effetto purgativo dell’asta immobiliare.

Cass.Civ. sez. VI 25 gennaio 2018 n.   1847 rel. Scarpa sottolinea, con la consueta capacità di sintesi e approfondimento del relatore, alcuni passaggi essenziali della materia.

il motivo del contendere: “C. B., titolare di omonima impresa edile, aveva domandato tale ingiunzione di pagamento per ottenere dal condomino I. il pagamento del residuo corrispettivo (C 2.080,00) dei lavori di ristrutturazione del fabbricato condominiale di via F., Pozzuoli, approvati con deliberazione assembleare del 7 febbraio 2008. Lo Iacuaniello si era opposto al decreto ingiuntivo, deducendo di aver acquistato l’unità immobiliare compresa nel condominio di via F. solo per effetto di decreto di trasferimento del Tribunale di Napoli in data 23 gennaio 2009. Il Tribunale ha riformato la sentenza di primo grado, osservando come il vincole solidale  tra precedente e attuale  proprietario, previsto dall’art. 63 disp. att. c.c., riguardi soltanto le somme dovute al condominio, mentre nei confronti del terzo creditore, trattandosi nella specie di spese di manutenzione straordinaria, doveva ritenersi debitore unicamente chi fosse proprietario al momento della deliberazione di approvazione dell’assemblea.”

I principi di diritto affermati dalla Cassazione: quanto alla natura di lavoro straordinario, la corte rileva che si tratta di valutazione rimessa al giudice di merito, insindacabile in cassazione e tuttavia ribadisce che “questa Corte ha già spiegato come il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione ed atti di amministrazione straordinaria riposa sulla “normalità” dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell’assemblea condominiale (Cass. Sez. 2, 25/05/2016, n. 10865). Trattasi, peraltro, di valutazione da compiersi avendo riguardo non alla singola voce di spesa, ma all’intervento complessivamente approvato, sicchè non appare dubitabile che un intervento edilizio di ristrutturazione del fabbricato, quale quello oggetto della vicenda per cui è lite, si connoti come manutenzione straordinaria. L’accertamento della straordinarietà o ordinarietà dell’attività gestoria discende, in ogni modo, dall’apprezzamento di fatto rimesso ai giudici del merito”

Sulla natura dell’obbligazione ex art. 63 disp.att. cod.civ. e sul suo operare: “Trova applicazione ratione temporis, attesa l’epoca di insorgenza dell’obbligo di spesa per cui è causa, l’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., nella formulazione antecedente alla modificazione operata dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220. In forza di tale norma, chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo al pagamento dei contribut relativi all’anno in corso e a quello precedente.

Dovendosi individuare, ai fini dell’applicazione dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., quando sia insorto l’obbligo di partecipazione a spese condominiali per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni (ristrutturazione della facciata dell’edificio condominiale)”, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di tale intervento, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. Sez. 6 – 2, 22 giugno 2017, n. 15547; Cass. Sez 6 – 2, 22 marzo 2017, n. 7395; Cass. Sez. 2, 03/12/2010, n. 24654).  

Tale momento rileva anche per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro.

L’obbligo del cessionario nei confronti del condominio si configura in capo a chiunque, sia pure, come nel caso in esame, in dipendenza di aggiudicazione forzata, succeda nella proprietà dell’immobile condominiale, non trovando applicazione il disposto dell’art. 2919 c.c. (Cass. Sez. 2, 09/07/1964, n. 1814).

Si tratta, quindi, di obbligazione solidale, ma autonoma, in quanto non propter rem, e, piuttosto, costituita ex novo dalla legge esclusivamente in funzione di rafforzamento dell’aspettativa creditoria dell’organizzazione condominiale, sicchè essa non opera in favore del terzo creditore del condominio.

La costruzione giurisprudenziale del principio della diretta riferibilità ai singoli condomini della responsabilità per l’adempimento delle obbligazioni contratte verso i terzi dall’amministratore del condominio per conto del condominio, tale da legittimare l’azione del creditore verso ciascun partecipante, poggia comunque sul collegamento tra il debito del condomino e la appartenenza di questo al condominio, in quanto è comunque la contitolarità delle parti comuni che ne costituisce il fondamento e l’amministratore può vincolare i singoli comunque nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli (Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148).

Non può pertanto essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del vincolo solidale ex art. 63, disp. att. c.c., chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l’obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, nella specie per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente i lavori.”

© massimo ginesi 26 gennaio 2018 

 

art. 63 disp.att.cod.civ.: solidarietà fra acquirente e venditore anche nell’acquisto all’asta.

E’ diffusa (e infondata) opinione che colui che acquista un immobile all’asta non sia sottoposto alla disciplina dell’art. 63 disp.att.cod.civ. (che prevede solidarietà fra acquirente e venditore per l’esercizio in corso e quello precedente), sull’assunto che la vendita  che conclude una esecuzione immobiliare benefici del c.d. effetto purgativo, previsto dall’art. 586 cod.proc.civ.: la norma prevede che  la vendita forzata determini l’estinzione dei diritti di prelazione, anche con diritto di seguito, che gravavano sul bene pignorato.

Non va tuttavia confuso il c.d. effetto purgativo della vendita all’asta, che si limita a liberare l’immobile da pregressi pignoramenti, ipoteche e sequestri, con la solidarietà che incombe a colui che diviene proprietario del bene e che risponde, ai sensi dell’art. 63 disp.att.cod.civ., di una  obbligazione propter rem.

E’ ormai pacifico in giurisprudenza che l’acquisto all’asta abbia natura derivativa e non originaria: “la giurisprudenza di questa Corte è ormai saldamente orientata nel senso che “l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” (Cass., n. 27 del 2000). In tale pronuncia, questa Corte ha consapevolmente ribadito l’indicato orientamento, rilevando come quello secondo cui l’acquisto per effetto di decreto di trasferimento emesso all’esito di una procedura di esecuzione forzata sarebbe un acquisto a titolo originario, costituisca un isolato precedente (Cass. n. 4899 del 1980), non condivisibile, mentre più aderenti alla natura stessa della vendita forzata si appalesano decisioni antecedenti e successive a quella ora richiamata, secondo le quali l’acquisto di un bene in sede di esecuzione forzata, da parte dell’aggiudicatario, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario e ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha appunto natura di acquisto a titolo derivativo e non originario in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (Cass., n. 2724/ 1969; Cass., n. 1299/1977; Cass., n. 5888/1982; Cass., n. 443/1985; Cass., n. 15503/2000)” (Cass. sent.20037/10).

La natura derivativa dell’acquisto comporta la piena applicabilità del precetto di cui all’art. 63 disp.att.cod.civ. anche all’acquirente all’asta in virtù del  c.d. principio dell’ambulatorietà passiva dell’obbligazione propter rem,  in virtù del quale l’acquirente di una unità immobiliare condominiale può essere chiamato a rispondere dei debiti condominiali del suo dante causa in via  solidale con lui.

Pare invece inapplicabile all’acquisto all’asta  il vincolo introdotto dalla riforma del 2012 e che prevede il permanere della responsabilità in capo al venditore  sino alla comunicazione all’amministratore di copia dell’atto di vendita: il meccanismo coattivo di trasferimento, la pubblicità connessa e l’assenza di poteri dispositivi in capo all’esecutato inducono a ritenere tale fattispecie applicabile solo ai trasferimenti volontari.

Quanto alla solidarietà per il biennio,  il principio ha trovato recente conferma anche nella giurisprudenza di merito (Trib. Parma 11 ottobre 2017 n. 1386) ove si è affermato che l’acquirente all’asta risponde ai sensi dell’art. 63 disp.att.cod.civ. per le spese relative all’esercizio in corso ed a quello precedete e che è tuttavia nulla la delibera che gli attribuisca spese relative ad esercizi precedenti: “Come rilevato dalla giurisprudenza (Cass. 16975/2005), trattasi di norma speciale rispetto a quella posta, in tema di comunione in generale, dall’art. 1104, ult. co. cod. civ., che rende il cessionario obbligato, senza alcun limite di tempo, in solido col cedente, a pagare i contributi dovuti dal cedente e non versati. Pertanto, in tema di contributi condominiali va fatta applicazione dell’art. 63, co. 2., disp. att. cod. civ., poichè, il rinvio operato dall’art. 1139 cod. civ. alle norme sulla comunione in generale vale, per espressa previsione dello stesso articolo, solo per quanto non sia espressamente previsto dalle norme sul condominio.

La deliberazione condominiale impugnata, in violazione del criterio legale, ha posto a carico della ricorrente anche la morosità dell’annualità 1 luglio 2008 – 30 giugno 2009, che in quanto ulteriore rispetto al biennio precedente all’acquisto, non le competeva.
La violazione del criterio legale di imputazione dei contributi condominiali comporta la nullità della deliberazione impugnata.”

© massimo ginesi 11 dicembre 2017

 

il curioso ossimoro del “condomino acquirente”…

il 22 giugno 2017 è stata presentata proposta di legge n. 4560, con cui si intende modificare due profili introdotti dalla legge 220/2012 nella disciplina condominiale, ovvero il divieto di conferire delega all’amministratore e la responsabilità solidale dell’acquirente di unità immobiliare per le quote relative all’esercizio in corso e a quello precedente prevista dall’art. 63 disp.att. cod.civ.

L’abrogazione dell’inciso dell’art. 67 disp.att. cod.civ. è sicuramente auspicabile, atteso che il conferimento di delega all’amministratore – lungi dal rappresentare un momento di conflitto di interesse – è stato per decenni uno strumento risolutivo per una efficace celebrazione delle assemblee.

Più curioso il concetto di “condomino acquirente”, utilizzato dal latore della proposta, che vorrebbe obbligare chi acquista per i contributi maturati nei cinque anni antecedenti la vendita.

Non sfuggirà che condomino è colui che sia titolare di un diritto reale  all’interno della compagine condominiale, dunque il condomino acquirente è un sorta di creatura mitologica che non può esistere. 

Il testo del DDL è il seguente: “Chi subentra nei diritti di un condòmino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi già maturati fino al quinquennio antecedente al trasferimento. L’amministratore deve fornire anche al condòmino acquirente, che ne faccia richiesta, quanto previsto dall’articolo 10 punto 9 della legge 11 dicembre 2012 n° 220. Tale attestazione va allegata al contratto che determina il trasferimento del diritto di proprietà su unità immobiliari”.

La relazione accompagnatoria promette – con l’introduzione di tale modifica – una drastica diminuzione delle liti.

Restano tuttavia insolute due questioni  fondamentali: l’acquirente (che non è ancora, evidentemente, condomino) potrebbe dimostrare  tale sua qualità all’amministratore – onde richiedere l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti – solo tramite un contratto preliminare che già lo obbligherebbe all’acquisto, senza che l’eventuale attestazione possa a quel punto costituire motivo di risoluzione del vincolo obbligatorio.

In diversa ipotesi si consentirebbe a chiunque si affermasse promissario acquirente, di ottenere informazioni sul condominio e sui morosi, ovvero dati non divulgabili a soggetti diversi da quelli previsti dall’art. 1130 n. 9 cod.civ.

E’ evidente che il senso della modifica si avrebbe solo ove si consentisse, a colui che intende acquistare, di calibrare le obbligazioni con il venditore sulla scorta anche degli oneri condominiali insoluti e ciò prima di divenire, tecnicamente, un “promissario acquirente”, ovvero prima di stipulare alcun vincolo.

Si potrebbe ipotizzare  che il promissario acquirente  ottenga  tali dati con il consenso del condomino venditore, ma in tal caso non occorre  alcuna modifica alla legge, atteso che – ovviamente – il condomino ha titolo a conoscere lo stato dei pagamenti e potrà poi divulgarlo a chi ritiene più opportuno, sotto la propria responsabilità.

Curioso anche l’obbligo di allegazione all’atto di acquisto della attestazione che otterrebbe il fantomatico “condomino acquirente”: con la sottoscrizione dell’atto e la prestazione del consenso  le parti danno comunque luogo all’effetto traslativo, pur in assenza della ipotetica attestazione; in assenza di alcuna specifica conseguenza prevista dalla norma per la mancata allegazione, l’inadempimento  – non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 1477 cod.civ. o 1490 cod.civ. – sembrerebbe  lasciare aperta l’unica via risarcitoria (pur con qualche dubbio, visto che comunque l’acquirente si determina ad acquistare pure in sua assenza), soluzione che appare destinata ad innalzare il contenzioso più che a sopirlo.

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© massimo ginesi 25 luglio 2017 

lavori straordinari, vendita e responsabilità precontrattuale

Il condomino che venda a terzi la propria unità immobiliare in pendenza di convocazione di assemblea per la delibera di significativi lavori straordinari è tenuto a rendere nota all’acquirente la circostanza, potendo altrimenti essere chiamato a rispondere per responsabilità precontrattuale, atteso che i contraenti sono tenuti a condursi secondo buona fede anche nelle fasi prodromiche alla stipulazione del contratto.

Lo ha stabilito la Suprema Corte ( Cass.civ. sez. VI 5 luglio 2017 n. 16640) nel respingere il ricorso del venditore condannato in primo e secondo grado.

I fatti esposti dall’acquirente: “nel 2010 A. M. S. convenne dinanzi al Tribunale de L’Aquila S.M., esponendo: – di avere acquistato un immobile dal convenuto; poco prima della vendita era stata già convocata un’assemblea condominiale al fine di deliberare l’esecuzione di lavori straordinari per un rilevante importo; – tale circostanza le era stata taciuta dal venditore durante le trattative, sicché dopo l’acquisto si era vista costretta a sostenere l’onere del pagamento di spese condominiali straordinarie; – chiese pertanto la condanna dell’attore al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti; – con sentenza 10aprile 2014 n. 305, il Tribunale de L’Aquila accolse la domanda, condannando il convenuto a pagare ad A M S la somma di euro 6.653,38; – la Corte d’appello de L’Aquila, adita dal soccombente, con sentenza 28 gennaio 2015 n. 138 rigettò il gravame.”

Assai singolare che il venditore ricorra in cassazione lamentando la violazione dell’art.  1123 cod.civ.: costui “lamenta  che essendo l’attrice  proprietaria dell’immobile al momento in cui l’assemblea condominiale deliberò i lavori straordinari di rifacimento del tetto, la relativa obbligazione non poteva che gravare, ai sensi dell’articolo 1123 c.c., sull’attrice stessa, e non poteva essergli accollata dal giudice di merito”

IL motivo è del tutto infondato, la corte osserva infatti che le somme sono state poste a carico del venditore non già in virtù della delibera ma a titolo di risarcimento:  “la Corte d’appello, infatti, ha affermato la responsabilità dell’odierno ricorrente non perché titolare di una obbligazione propter rem, ma a titolo di responsabilità precontrattuale, ovvero per avere volontariamente sottaciuto all’acquirente l’esistenza di un ingente onere condominiale di prossima deliberazione”.

E noto che in caso di lavori straordinari l’obbligo di pagamento sorga con la delibera di approvazione della spesa, all’epoca della quale era già certamente proprietaria la nuova acquirente, che tuttavia proprio in virtù si è vista esposta ad una spesa che in sede di stipulazione del contratto doveva essergli resa nota dal venditore, potendo incidere sull’assetto patrimoniale dell’accordo e sulla volontà delle parti.

© massimo ginesi 19 luglio 2017

l’obbligo di spesa per i lavori straordinari sorge con la delibera di approvazione

La Cassazione conferma un orientamento ormai consolidato, circa il momento genetico dell’obbligo del condomino di contribuire alla spesa per l’esecuzione di lavori straordinari.

La decisione attiene a caso che, ragione temporis, non vede l’applicazione dell’art. 63 disp.att. cod.civ. nella formulazione introdotta dalla l. 220/72012, che ha esteso la solidarietà fra venditore ed acquirente sino al momento entro della formale comunicazione dell’atto di vendita all’amministratore.

Aldilà della solidarietà nei confronti del condominio, l’esatta individuazione del momento genetico dell’obbligo è comunque rilevante sia per la scelta delle modalità dell’azione (se in via ordinaria o monitoria, Cass.Civ. II sez. 9 settembre 2008, n. 23345), sia  nei rapporti interni fra i condebitori.

Cass.Civ. II sez. 22 giugno 2017 n. 15547 rel. Scarpa, nell’esaminare le doglianze di un condomino che si riteneva carente di legittimazione passiva in ordine alla domanda del condominio avanzata per il pagamento di quote relative a lavori straordinari, osserva:

Tale motivo si duole, peraltro, della carenza di legittimazione passiva del D’I. rispetto alla pretesa creditoria del Condominio, per aver egli già alienato la sua unità immobiliare al momento della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese di manutenzione straordinaria, fatto esaminato e superato nella sentenza impugnata, la quale ha dato correttamente rilievo alla data della deliberazione di approvazione di tali lavori, allorchè il ricorrente era ancora condomino e perciò era obbligato a contribuire agli esborsi.

Trova qui applicazione ratione temporis, attesa l’epoca di insorgenza dell’obbligo di spesa per cui è causa, l’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., nella formulazione antecedente alla modificazione operata dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220.

In forza di tale norma, chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.

Dovendosi individuare, ai fini dell’applicazione dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., quando sia insorto l’obbligo di partecipazione a spese condominiali per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni (ristrutturazione della facciata dell’edificio condominiale)”, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di tale intervento, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. Sez 6 — 2, 22 marzo 2017, n. 7395; Cass. Sez. 2, 03/12/2010, n. 24654).

Tale momento rileva anche per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro.”

© massimo ginesi 23 giugno 2017