E’ quanto ha statuito la Corte Europea di giustizia (Corte giustizia UE sez. III, 11/12/2019, n.708):
“Gli artt. 6, par. 1, lett. c), e 7, lett. f), della direttiva 95/46/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, letti alla luce degli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a disposizioni nazionali, le quali autorizzino la messa in opera di un sistema di videosorveglianza, come il sistema controverso nel procedimento principale installato nelle parti comuni di un immobile ad uso abitativo, al fine di perseguire legittimi interessi consistenti nel garantire la sicurezza e la tutela delle persone e dei beni, senza il consenso delle persone interessate, qualora il trattamento di dati personali effettuato mediante il sistema di videosorveglianza in parola soddisfi le condizioni enunciate nel succitato articolo 7, lettera f), aspetto questo la cui verifica incombe al giudice del rinvio (la Corte si è così pronunciata nella controversia promossa da un cittadino rumeno contro una associazione di comproprietari di un immobile affinchè fosse messo fuori servizio il sistema di videosorveglianza di un immobile e fossero rimosse le telecamere installate in alcune parti comuni di dello stesso).”
© massimo ginesi 7 gennaio 2020