Un condomino procede alla trasformazione della propria cantina in autorimessa e, a tale scopo, trasforma anche una finestra che si apre sul muro perimetrale in varco di accesso al garage appena creato.
La vicenda giunge alla Suprema Corte, che con recente sentenza (Cass.Civ. II sez. 21 febbraio 2017, n. 4437 Rel. Giusti), ha occasione di riaffermare principi ormai consolidati.
Due condomini non avevano gradito l’intervento sul muro perimetrale e avevano fatto ricorso al Tribunale di Catania: “Premesso di essere condomini dello stabile sito in (omissis) , gli attori deducevano: che lo S. aveva provveduto alla trasformazione in autorimessa di un vano di sua proprietà, sito al piano terra dell’edificio condominiale; che tale innovazione era stata eseguita mediante l’allargamento di una finestra prospiciente la via (…), trasformata in porta carraia di accesso al garage; che le opere eseguite avevano determinato il parziale abbattimento del muro condominiale, pregiudicando la stabilità e la sicurezza dell’edificio e ledendo il decoro architettonico dello stabile. Lamentavano, inoltre, l’illegittima appropriazione, da parte dello S. , di parte del muro perimetrale. Esponendo di aver promosso ricorso ex art. 1172 cod. civ., accolto in sede di reclamo, chiedevano la condanna del convenuto a ripristinare la situazione preesistente, nonché al risarcimento dei danni subiti.”
Il Tribunale ritiene fondata la richiesta con riferimento alla lesione del decoro architettonico e accoglie la domanda degli attori, ma la sentenza è completamente ribaltata in appello: merita leggere compiutamente le argomentazioni del Giudice di secondo grado, poiché costituiscono ormai un orientamento stabile che tuttavia, ancora con troppa frequenza appare ignorato dai condomini.
“Con sentenza depositata il 16 maggio 2013, la Corte d’appello di Catania, in accoglimento dell’appello proposto dallo S. , in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda formulata dai G. di condanna del convenuto ad eliminare le opere abusivamente realizzate obbligandolo a ripristinare la situazione preesistente all’effettuazione delle opere stesse, e li ha condannati a rifondere allo S. le spese di entrambi i gradi del giudizio.
La Corte territoriale ha rilevato che, pur ampliata l’originaria finestra (della larghezza di ml. 1,80) in passo carraio (della larghezza di ml. 2,80), leggermente più ampio rispetto al portone recante civico 193, e pur apparentemente modificata la sequenza “finestra-portone-finestra”, non sussiste alcuna significativa alterazione del decoro architettonico. La Corte territoriale ha evidenziato che la nuova apertura è stata munita di una porta con caratteristiche del tutto simili al vicino portone (con bugne, riquadri e colore del tutto simili) che, all’evidenza, richiama sotto il profilo estetico; che nessun deprezzamento può ritenersi sussistente, con riferimento all’intero fabbricato e alle singole unità immobiliari, avuto riguardo all’aspetto architettonico complessivo dello stabile (edificato nel 1947, e dotato di non particolare pregio) e al contesto nel quale esso è inserito (presenza di altri palazzi costruiti in aderenza, secondo lo stile di quello oggetto di causa, sede stradale di ordinarie dimensioni, zona estremamente appetibile per la strategica posizione centrale nella città di Catania), sicché non è dato notare in maniera significativa l’alterazione eseguita, e comunque essa non provoca un risultato esteticamente sgradevole, apparendo anzi immutato lo stile architettonico della facciata.
Infine, la Corte di Catania ha rilevato come tale alterazione si accompagni ad una utilità estremamente rilevante per lo S. , costituita dalla possibilità di usufruire di un garage in una zona trafficatissima, caratterizzata notoriamente da enormi difficoltà di parcheggio.”
Da sottolineare come una modesta modificazione delle linee complessive del prospetto sia ammissibile, laddove da ciò derivi una rilevante utilità per chi ha posto in essere l’intervento, a fronte della modestissima compressione del diritto degli altri condomini (criterio che la Suprema Corte ha spesso espresso in tema di installazione di ascensore da parte del singolo, ove l’occupazione dell’androne e della tromba delle scale comuni è compensata dall’utilità che l’impianto apporta al singolo e – in prospettiva ex art. 1121 cod.civ. – all’intero fabbricato).
I condomini non si danno per vinti e ricorrono in cassazione, per veder accertata l’illegittimità dell’intervento sulla facciata. LA Corte, con motivazione puntuale, che costituisce ottima sintesi dei prinpci in tema di uso della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 cod.civ. ritiene il motivo di doglianza infondato:
“Secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Cass., Sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008; Cass., Sez. II, 26 gennaio 1987, n. 703; Cass., Sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16097; Cass., Sez. VI-2, 14 novembre 2014, n. 24295), in tema di condominio, il principio della comproprietà dell’intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro – ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi – e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale.
Si è anche precisato (Cass., Sez. II, 29 aprile 1994, n. 4155; Cass., Sez. II, 26 marzo 2002, n. 4314) che l’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale, eseguite da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, non integrano, di massima, abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102, primo comma cod. civ., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario. Negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l’esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 cod. civ., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico del fabbricato.
A tale principio si è correttamente attenuta la Corte di merito.
Invero, la Corte di Catania – nel giungere alla conclusione che l’allargamento dell’apertura da parte dello S. al fine di trasformare la finestra in accesso carraio ha semplicemente comportato un uso più intenso della cosa comune, come tale consentito dall’art. 1102 cod. civ., senza con questo alterare il rapporto di equilibrio con gli altri comproprietari – ha per un verso rilevato che lo S. era l’unico fra i condomini a poter usufruire, per le proprie esigenze, del varco in questione, siccome proprietario esclusivo dell’unità immobiliare comunicante con l’esterno; per l’altro ha sottolineato che il realizzato allargamento ha lasciato immutato lo stile architettonico della facciata, non comportando alcuna significativa alterazione del relativo decoro, e ciò considerando in concreto le linee e le strutture che connotano il fabbricato stesso.
La Corte territoriale ha compiuto un congruo accertamento di fatto nel quadro dei principi dettati da questa Corte regolatrice.”
Anche i timori circa la statica risultano infondati: “I ricorrenti finiscono con il sollecitare un diverso esame delle risultanze di causa e un differente apprezzamento di merito, il che fuoriesce dai limiti del sindacato devoluto alla Corte di cassazione.
Essi muovono dal presupposto che nella specie vi sia stato “l’abbattimento di un muro portante” dell’edificio, ma non considerano che nella specie si è avuta soltanto una riduzione del “maschio murario” (pilatro) in corrispondenza dell’allargamento della precedente apertura.
E prospettano l’esistenza di un pregiudizio attuale alla stabilità e alla sicurezza del fabbricato, ma non tengono conto della circostanza che già il Tribunale di Catania, definendo il primo grado di giudizio con la sentenza n. 4671 del 2009, ha affermato che il pregiudizio sismico – pur inizialmente sussistente per effetto dell’intervento effettuato dallo S. – era stato eliminato a seguito dell’effettuazione, da parte dello stesso convenuto, delle opere disposte in sede di reclamo cautelare; né dal testo del ricorso si ricava come la questione dell’attualità del rischio per la stabilità del fabbricato (pur dopo che lo S. aveva realizzato, ottemperando all’ordinanza resa in rese di reclamo cautelare, tutti gli interventi diretti all’eliminazione del pregiudizio sismico) sia stata riproposta dai G. in appello.”
osserva infine la Corte che “nel giudizio di merito promosso una volta esaurito il procedimento cautelare, il Tribunale di Catania ha escluso il denunciato pregiudizio attuale alla stabilità dell’edificio, avendo dato atto della eliminazione della situazione di pericolo a seguito della effettuazione delle opere disposte in sede cautelare. Va ribadito che dal testo del ricorso per cassazione non risulta come – una volta che lo S. ha provveduto, mediante l’esecuzione degli opportuni interventi, a rimuovere l’originaria situazione di non conformità alle prescrizioni della normativa antisismica – la questione del pregiudizio attuale alla stabilità sia stata riproposta in appello dai G. “
LA vicenda ha anche avuto un risvolto non lieve sotto il profilo delle spese poiché la Corte ha rilevato che, seppur il Tribunale di Catania avesse in sede cautelare riconosciuto al sussistenza di pregiudizio statico e dettato i rimedi per ovviarvi, il condomino che stava procedendo aveva adempiuto a quanto previsto dal giudice mentre le fasi successive di merito lo avevano visto vittorioso; l’esito complessivo della controversia non vedeva dunque un soccombente principale: per tale ragione il giudice di legittimità ha disposto integrale compensazione delle spese di tutti gradi di giudizio.
Quando litigare a lungo davvero non ha un senso…
© massimo ginesi 25 febbraio 2017